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Sale al 2 % del Pil globale la spesa pubblica per i sussidi dannosi al clima

Articolo di Massimiliano Iervolino pubblicato su Il Manifesto del 04 febbraio 2023

Si parla di miliardi di euro, per la precisione 21,6 contro 18,9 miliardi, calcolati dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica per il 2020 – ultimo anno per il quale è disponibile questa paradossale classifica. Paradossale perché la sola idea che si debbano sostenere ancora le fonti fossili con denaro pubblico pare inverosimile in un mondo che, teoricamente, è impegnato a sostituire gas e greggio ed evitare la crisi climatica e ambientale del pianeta.

Eppure, è ancora così. Basta ripercorrere i dibattiti delle ultime settimane circa l’eliminazione dello sconto sulle accise carburante e il calo dei sussidi per benzina diesel a favore di molti italiani, per capire quanto possa essere difficile anche solo pensare di ridurre i sussidi ambientalmente dannosi, per non parlare di una loro eliminazione. Fatto sta che i sussidi alle fossili continuano ad essere maggiori di quelli alle rinnovabili. E che tali sussidi non solo sopravvivono, ma aumentano pure.

Allargando l’orizzonte dall’Italia al G20 e aggiornando i dati al 2021, infatti, si scopre che i Paesi più ricchi e industrializzati del mondo hanno speso 693 miliardi di dollari in sussidi alle fonti fossili, incrementando tali agevolazioni del 16% rispetto al 2020, anche a causa della ripresa economica post-pandemia e del conseguente incremento dei consumi energetici.

I sussidi sono andati per lo più ai comparti del greggio e del gas, che hanno calamitato l’83% di tali aiuti. La cifra indicata è del 5% più alta anche rispetto al 2016 e conferma che finora non si è vista alcuna reale inversione di tendenza nel sostenere la produzione e il consumo di combustibili fossili su scala globale.

Tutto ciò in base ai dati Climate Policy Factbook 2021, pubblicato da Bloomberg New Energy Finance (BNEF) lo scorso novembre, in prossimità della Cop 27, la ventisettesima conferenza Onu sul clima svoltasi a Sharm El Sheik in Egitto.

Da notare che i quasi 700 miliardi di dollari l’anno citati da BNEF riguardano solo i sussidi al settore degli idrocarburi. Se si allarga di nuovo l’orizzonte ad un più ampio spettro di attività, il conto risulta più che doppio.

Il mondo, infatti, spende almeno 1.800 miliardi di dollari l’anno, pari al 2% del PIL globale, in sussidi pubblici che stanno portando alla distruzione degli ecosistemi e alla scomparsa delle specie.

Lo certifica uno studio commissionato da The B Team e Business for Nature, due collettivi internazionali di esponenti del mondo imprenditoriale e della società civile focalizzati sulla costruzione di un’economia più inclusiva e attenta all’ambiente.

In tale studio è disponibile un’ampia analisi dei diversi tipi di sussidi ambientalmente dannosi (Sad) in tutti i settori e una stima del loro valore totale. Fra i sussidi dannosi per l’ambiente non ci sono, infatti, solo quelli, prevedibili, destinati al comparto dei combustibili fossili e dei trasporti, ma anche quelli a settori “insospettabili” e spesso ritenuti sinonimo di “natura”, come l’agricoltura, la silvicoltura, la pesca e l’acqua.

Nel rapporto, intitolato Protecting Nature by Reforming Environmentally Harmful Subsidies: The Role of Business, i ricercatori hanno stilato una classifica dei Sad, contando, fa gli altri 640 miliardi di dollari di sussidi all’anno per il settore dei combustibili fossili (stima vicina ai 693 di BNEF), che contribuisce al cambiamento climatico, all’inquinamento dell’aria e dell’acqua e alla subsidenza dei terreni; 520 miliardi di dollari di sussidi all’anno ad attività non sostenibili del settore agricolo, fra i cui danni ci sono l’erosione del suolo, l’inquinamento delle acque, la deforestazione legata alla semina, le emissioni di gas serra, la conversione degli habitat naturali e la conseguente perdita di biodiversità; 350 miliardi di dollari all’anno per usi insostenibili dell’acqua dolce, la gestione dell’acqua e le infrastrutture per le acque reflue, contribuendo all’inquinamento idrico e ai rischi per gli ecosistemi nei corsi d’acqua e nell’oceano.

Riformare gli 1,8 trilioni di dollari l’anno di sussidi dannosi per l’ambiente darebbe una grossa mano nel reperire gli oltre 700 miliardi di dollari l’anno necessari a invertire la perdita di biodiversità entro il 2030 e a raggiungere emissioni nette di carbonio pari a zero entro il 2050.

La redistribuzione degli incentivi pubblici deve andare di pari passo con l’allineamento di tutti i flussi finanziari privati verso attività a favore della natura, aumentando gli strumenti complessivamente disponibili per fornire soluzioni finanziarie e risorse umane che aiutino a proteggere, ripristinare e conservare la natura, invece che a distruggerla.

In conclusione, si possono fare tutti i piani di decarbonizzazione e transizione ecologica che si vuole, ma finché non si avrà il coraggio politico di dirottare i sussidi alle fonti fossili verso le fonti rinnovabili e la capacità finanziaria, fiscale e organizzativa di predisporre meccanismi di tutela dei milioni di persone più povere che nella transizione non potranno facilmente passare dalle fossili alle fonti verdi, si continuerà a perdere tempo che non abbiamo.