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Crimini di guerra: gli “arresti domiciliari” per Putin e il disegno di legge sul nuovo codice italiano presentato a Londra

articolo di Dino G. Rinoldi * pubblicato su Il Dubbio il 21 marzo 2023

Dal mandato d’arresto (intanto per crimini di guerra di deportazione di bambini) emesso dalla Corte penale internazionale/CPI nei confronti di Vladimir Putin – nonché, per… parità di genere, di Maria A. Lvova-Belova responsabile della Commissione presidenziale russa per la protezione dell’infanzia – Ezechia Paolo Reale, del Siracusa International Institute, fa discendere la conseguenza della difficoltà del Presidente della Federazione russa di circolare fuori dal proprio Paese (che pure è per estensione il più grande del mondo: circa 17,1 milioni di Km2). E parla incisivamente di «arresti domiciliari» dovuti anzitutto all’obbligo per i ben 123 Stati aderenti allo Statuto fondativo della CPI (aperto alla firma a Roma nel 1998 ed entrato in vigore nel 2002) di procedere all’arresto ove la persona in questione si presenti sul loro territorio, ma pure alla facoltà di procedere da parte di altri Paesi che intendessero nel caso volontariamente collaborare con la CPI.

Flavia Lattanzi, già giudice del Tribunale penale internazionale per il Ruanda e di quello per i crimini nell’ex Jugoslavia, parla invece di «prigione, seppure a cielo aperto».

Beninteso, nei 123 Stati aderenti alla CPI non vale, a esentare da responsabilità penale, l’immunità (in forza del diritto interno e internazionale) che altrimenti coprirebbe Putin quale esponente di vertice dell’autorità di governo russa: si veda l’art. 27 dello Statuto istitutivo della Corte appunto sull’ «irrilevanza della qualifica ufficiale». E anche per altri Stati questa immunità è in grado di venir meno di fronte alla gravità delle condotte rappresentate dal capo d’accusa. Si può ricordare la decisione della Camera dei Lord britannica che, a fine 1998, aveva giudicato insussistente l’ostacolo del riconoscimento dell’immunità per l’estradizione in Spagna (su richiesta del Procuratore Garzón) dell’ex presidente cileno Pinochet – in quel momento senatore – che si era recato in Gran Bretagna per ragioni di cura (alla fine l’estradizione è stata impedita dal Ministro degli Interni Jack Straw per motivi umanitari!). Così tanta prassi va oggi a contrastare quanto affermato nel 2002 dalla Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite in tema di necessario riconoscimento dell’immunità (e di inviolabilità personale) di fronte alla magistratura belga di un Ministro degli esteri congolese, pur in presenza di contestazioni di crimini di guerra e contro l’umanità.

Purtroppo va particolarmente criticato il fatto, a maggior ragione nell’attuale situazione di crisi, che gli Stati Uniti, come noto, non aderiscono allo Statuto di Roma, e sono in … cattiva compagnia di Russia, Cina, Sudan e altri, fra cui pure Israele. Anzi, gli USA hanno spesso contrattato preventive possibilità di esenzioni cautelative generali della giurisdizione altrui persino in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, quindi al di là di puntuali accordi come quello di Londra del 1951 tra gli Stati parti della NATO relativo allo statuto delle truppe (che ha avuto applicazione ai seguiti giudiziari della tragedia della funivia del Cermis, del 1998). Ancora Biden ha ritenuto «giustificato» il mandato d’arresto su Putin ma subito aggiungendo: «la questione è che non è riconosciuto internazionalmente, neanche da noi»! Non va così dimenticato l’Executive Order di D. Trump on Blocking Property of Certain Persons Associated with the International Criminal Court dell’11 giugno 2020. E nemmeno la recente legge USA, che amplia la competenza dei giudici statunitensi in tema di punibilità di crimini di guerra (v. Crimini di guerra: il Senato Usa approva il nuovo testo), sfugge alla precisazione di esclusione di una qualche forma di partecipazione alla CPI.

Persino l’Ucraina non aderisce allo Statuto della Corte penale internazionale, benché ne abbia accettato la giurisdizione con due dichiarazioni del 2014 e del 2015 conseguentemente all’occupazione russa della Crimea e all’inizio delle sollevazioni in Donbass.

Non è infine irrilevante rammentare che nello Statuto della CPI fra le pene applicabili non è prevista la condanna a morte. Si veda l’art. 77, che arriva a disporre la «reclusione per un periodo di tempo non superiore nel massimo a 30 anni» sebbene non escluda l’«ergastolo, se giustificato dall’estrema gravità del crimine e dalla situazione personale del condannato». Peraltro, giacché la competenza a svolgere il processo da parte della CPI è complementare, cioè sostitutiva, rispetto ai giudici nazionali che non possano o non vogliano esercitare la giurisdizione penale per i crimini di cui si fa carico lo Statuto di Roma, va pure sottolineato che la pena di morte resta possibile ai sensi dello Statuto stesso (art. 80) quando gli Stati che invece procedono al giudizio ne trovino previsione nel proprio diritto interno (ma, ad esempio, nei 46 Paesi membri del Consiglio d’Europa, da cui la Russia è uscita, l’esecuzione capitale è inammissibile).

Infine, viene automatico il collegamento tra la situazione enunciata e il nostro ordinamento giuridico. Il 16 marzo il Consiglio dei Ministri/CDM ha approvato un disegno di legge, volto a completare la collaborazione con la CPI. Al proposito il comunicato stampa (n.25) dice che «il testo introduce nell’ordinamento italiano il crimine di aggressione ed estende i crimini di guerra. Inoltre amplia universalmente la sua giurisdizione penale, perseguendo i crimini ovunque commessi, se l’autore si trova stabilmente in territorio … italiano». Ancora, il CDM «ha determinato di approfondire, ai fini dell’elaborazione di un ulteriore disegno di legge, i temi inerenti ai crimini contro l’umanità». Il testo approvato è stato appena presentato dal Ministro Nordio alla Conferenza di Londra dei Ministri della giustizia dedicata al «sostegno alla Corte penale internazionale e alla sua indagine sulla situazione in Ucraina».

Ci sono criticità che probabilmente il percorso parlamentare riuscirà a risolvere. Ma a questo deve essere dedicata una prossima occasione di puntuale attenzione.

*Professore di Diritto internazionale.
Già componente del Comitato nazionale di Radicali Italiani.