All’ingresso di Kyiv nella UE non si possono trascurare i rapporti con altri stati candidati all’adesione.
Articolo di Dino Rinoldi, Presidente del Collegio di garanzia statutaria e di trasparenza di Radicali italiani, pubblicato su il Dubbio il 24 giugno 2023
In Italia la Presidente del Consiglio sostiene la futura neutralità dell’Ucraina, negandone dunque la partecipazione alla NATO ma ritenendo che ne vada accelerata l’entrata nell’Unione europea, dopo l’accordo di associazione tra UE e Ucraina pienamente operativo dal 2017. La Presidente del Parlamento lituano vuol vedere l’Ucraina nell’Alleanza atlantica «il prima possibile» e ritiene «molto importante» il sostegno dell’UE a questo Paese, che ne potrebbe diventare il quinto Stato membro più popoloso e il più esteso territorialmente. Nell’Unione si dibatte sull’undicesimo “pacchetto” di sanzioni contro la Russia e sullo stanziamento di ulteriori finanziamenti di sostegno militare all’Ucraina previsti dallo «strumento europeo per la pace». Tuttavia, l’Ungheria agita il potere di veto; la Germania avanza “distinguo”…
A inizio maggio nove Stati membri, fra cui il nostro, hanno costituito un «Gruppo di amici» per promuovere il voto a maggioranza qualificata – non più all’unanimità – nella Politica estera e di sicurezza comune europea. Lo status di candidato all’ingresso nell’UE concesso al Paese ucraino nel 2022 potrebbe arrivare a compimento – si dice a Bruxelles – «già nella prossima legislatura dell’Unione, tra il 2024 e il 2029» (le elezioni del Parlamento europeo, cui seguirà l’insediamento della nuova Commissione europea, saranno nel giugno dell’anno prossimo). Sembra che a ottobre l’attuale Commissione, presieduta da Ursula von der Leyen, «darà il via libera ai negoziati di adesione all’UE» dell’Ucraina. Su ricostruzione sostenibile e integrazione dell’Ucraina nella Comunità euroatlantica è intervenuto il Parlamento europeo ancora il 15 scorso.
Alberto D’Argenio, su «Repubblica» del 15 maggio, ricordava l’attività della Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto (cd. Commissione di Venezia), organo consultivo indipendente del Consiglio d’Europa rivolto a promuovere la democratizzazione dei Paesi europei usciti da esperienza dittatoriale, che sta assistendo Kyiv nell’adozione delle riforme chieste appunto dall’UE. In particolare risulta centrale quella dell’indipendenza della Corte suprema, di cui proprio von der Leyen ha discusso con Zelensky nella visita del 9 maggio (festa dell’Europa) ponendola come «precondizione e garanzia di un Paese realmente democratico». Probabilmente non è un caso che la cooperazione ucraina in materia abbia preso corpo il 16 maggio addirittura con l’arresto del Presidente della Corte con l’accusa di corruzione, dando prova di volontà indirizzata alla promozione dello Stato di diritto. Del resto, l’Ucraina ha ragioni di opportunità politica per intraprendere pure la strada dell’adesione piena allo Statuto di Roma fondativo della Corte penale internazionale (che ha spiccato un mandato d’arresto verso Putin), invece delle sole dichiarazioni di accettazione (del 2014 e del 2015) della giurisdizione della Corte per fatti e tempi specifici. Senza dimenticare che l’Ucraina ha firmato lo Statuto di tale Corte nel 2000 senza poi ratificarlo. E proprio l’Accordo di associazione fra Unione europea e Ucraina, di cui si diceva, prevede all’art. 8 che le parti «cooperano alla promozione della pace e della giustizia internazionale mediante la ratifica e l’attuazione dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale».
Resta l’esigenza di una riforma della stessa Unione europea, alle prese con i propri aspetti confederali o addirittura intergovernativi, da tradurre rapidamente in una struttura federale costituzionalmente compiuta, con la partecipazione almeno degli Stati che se ne vogliano assumere la responsabilità, a partire dai nove del «Gruppo di amici» già ricordato, fra cui tutti i Paesi inizialmente contraenti delle tre Comunità europee del Secolo scorso. Centrale risulta la compressione del voto all’unanimità in seno alle istituzioni intergovernative dell’UE e la realizzazione di una efficace ed efficiente difesa comune sovranazionale: conseguirebbero consistenti risparmi (come già Umberto Veronesi tanti anni fa preconizzava) dall’eliminazione di costi intrinseci al mantenimento di una pluralità di sistemi di difesa nazionali.
Non dimentichiamo, però, che se sostenere una sufficientemente rapida entrata dell’Ucraina nella UE (non «subito», come invece scrive Claudio Tito su «Repubblica» del 13 maggio) è buona cosa, non possono essere trascurati i rapporti con altri Stati candidati all’adesione nei Balcani occidentali, o con la Moldova, in attesa della Georgia che non ha ancora ottenuto lo status di Paese candidato. Né va trascurato il fatto che l’Ucraina può far ingresso nell’UE solo a guerra finita, poiché l’art. 42.7 del Trattato sull’Unione europea dispone che quando «uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite. Ciò non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri» dotati di un regime di neutralità, com’è il caso, nell’UE, dell’Austria ma certo non dell’Italia. Il che comporterebbe, nella presente situazione bellica in Ucraina, un’automatica estensione dello stato di guerra con la Russia ad altri Paesi, Italia compresa, con conseguenze, a quel punto, di maggior probabilità dell’uso dell’arma nucleare.