Articolo di Massimiliano Iervolino pubblicato su Il Dubbio del 11 febbraio 2023
Se tornasse in vita oggi il fondatore dell’Eni non guarderebbe al greggio e al gas, ma su energie rinnovabili anche dall’africa
Dunque, il governo Meloni vuole fare dell’Italia un hub energetico del Mediterraneo. E per fare ciò punta ad un nuovo “Piano Mattei” che renda l’Italia controparte affidabile, generosa e privilegiata dei Paesi che circondano il Sahara.
È un’idea di grandiosità dell’Italia, ma non è una grande idea. Non perché l’Italia non possa svolgere un ruolo da protagonista nel settore energetico europeo. E non perché lo spirito e l’eredità di Enrico Mattei non abbiano più valore. Non è una grande idea perché guarda soprattutto al passato e del passato già sta ripetendo gli errori, come se non riuscissimo proprio a imparare niente dalla storia.
Quando si parla di energia dall’Africa, in questo momento storico, ci si riferisce soprattutto al gas. Non abbiamo ancora fatto in tempo ad emanciparsi dalla dipendenza dal gas russo, che già siamo impegnati a consegnarci legati mani e piedi all’Algeria, che ha sostituito la Russia come principale fornitore di gas del nostro Paese.
L’Algeria, come la Russia, è considerata un Paese “autoritario” dall’Economist Intelligence Unit, la divisione di ricerca dell’Economist, che mette la Russia al 124° posto e l’Algeria al 113° nel 2021, quanto a democrazia e libertà civili, personali, ecc. Stesse conclusioni da parte di altre organizzazioni, come Freedom House.
Anche l’Algeria ha dimostrato, seppur più in piccolo della Russia, di saper usare le forniture energetiche come arma di pressione politica verso l’Europa, minacciando di azzerare i flussi alla Spagna se non avesse ottenuto un maggiore appoggio occidentale su una disputa col Marocco, suo rivale regionale, legata al territorio del Sahara occidentale.
È interessante notare che anche con la Russia ci fu un campanello d’allarme simile, oltre 15 anni fa, circa l’uso dell’energia come arma di ricatto politico-economico, rispetto all’Ucraina, con l’Europa come vittima sacrificale. Prima ancora dell’invasione e annessione russa della Crimea nel 2014, infatti, Russia e Ucraina furono protagoniste di una controversia incentrata proprio sull’energia. Nel 2005-06, la Russia accusò l’Ucraina di non pagare il suo gas e di dirottare verso la propria rete il gas destinato all’Ue. Il 1° gennaio 2006 la Russia interruppe le forniture, con ripercussioni immediate sulla disponibilità di metano in Europa. Ci vollero solo pochi giorni, anche su pressioni europee, affinché Ucraina e Russia raggiungessero un accordo. Le forniture russe ripresero ad arrivare, ma il campanello d’allarme non suonò, o non fu ascoltato. Amara ironia della sorte, nonostante questo precedente, l’Europa divenne negli anni sempre più dipendente dal gas russo, prima dei recenti eventi bellici.
Non si capisce bene, quindi, secondo quale logica passare da un’autocrazia all’altra aumenterebbe la nostra autonomia e sicurezza degli approvvigionamenti. Vale la pena sottolineare che l’Algeria, nuovo partner d’elezione dell’Italia per le forniture di gas – assieme a Cina, India e ad altri 32 paesi – si è astenuta l’anno scorso dalla risoluzione di condanna dell’Onu contro l’annessione illegale alla Russia di quattro regioni dell’Ucraina: Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia.
Fare dell’Italia un hub europeo del gas, oltre a dimostrare una scarsa capacità di visione del futuro, è velleitario anche perché sembra ignorare, più colpevolmente, la realtà del presente.
Se l’Italia volesse aspirare realmente al ruolo di hub europeo del gas, dovrebbe dotarsi di una capacità addizionale di rigassificazione del gas naturale liquefatto (Gnl) molto maggiore di quella sulla rampa di lancio a Piombino e Ravenna e di quella esistente a Rovigo, La Spezia e Livorno. Non esistono programmi del genere e, viste le difficoltà incontrate a Piombino, pare improbabile che ne sorgano tanti e di nuovi in tempi brevi.
La Spagna è fra l’altro già messa meglio di noi come potenziale hub mediterraneo del gas, sia geograficamente che operativamente. Il Paese iberico dispone attualmente del 37% della capacità totale di Gnl dell’Ue. La Francia ha la seconda più grande infrastruttura per il Gnl dell’Unione, con circa il 19% della capacità. L’Italia è solo terza in questa classifica, con un quarto della capacità spagnola e meno della metà di quella francese.
Se dal Gnl di qualunque provenienza si passa al gas via tubo dall’Africa, servirebbe abbastanza a poco fare arrivare più gas nel Meridione via Trans Med, senza fare una nuova linea di trasporto intra-italiana per portare il gas da sud a nord e da lì eventualmente in Europa.
Ma ammettiamo di riuscire con una bacchetta magica a risolvere tali carenze del presente e a realizzare tutte le nuove infrastrutture necessarie. Questo desiderio non fa i conti col fatto che le eventuali future infrastrutture energetiche, soprattutto quelle del gas e del greggio, richiedono anni per essere costruite e, soprattutto, hanno bisogno di un orizzonte almeno ventennale per ripagare l’investimento.
Ciò vuol dire che i gasdotti, i rigassificatori, gli stoccaggi aggiuntivi necessari a diventare un hub europeo del gas sarebbero destinati a trasformarsi in investimenti incagliati e improduttivi ben prima del loro fine-vita naturale – se vogliamo rispettare gli impegni di decarbonizzazione. E molto probabilmente i contribuenti se ne dovrebbero far carico per la quota residua di ammortamento e per lo smantellamento, se lo Stato deciderà prevedibilmente di aiutare le società da esso coinvolte nella realizzazione dell’hub – anche perché tradizionalmente partecipate o vicine allo Stato. Alitalia/ITA docet, mutatis mutandi.
Mattei è stato una figura di spicco nella storia imprenditoriale italiana. Essere visionari nel settore energetico a metà del secolo scorso voleva dire puntare su petrolio e gas facendo concorrenza alle “sette sorelle”. Se tornasse in vita oggi, un piano visionario e lungimirante di Enrico Mattei non guarderebbe al greggio e al gas, ma si focalizzerebbe come un laser sulle energie rinnovabili, anche dall’Africa, trasportate magari con cavi sottomarini dell’alta tensione in corrente continua, e su quelle potrebbe fare dell’Italia, questa volta veramente e con più probabilità di successo, un hub energetico europeo.