Scrivi S47 nella dichiarazione dei redditi.

Leggi di più: info 2x1000


Via Angelo Bargoni 32/36 00153 Roma
+39 06 87763 051 / +39 06 87763 053
info@radicali.it

Autorizzazioni e filiere delle rinnovabili, l’ottimismo è necessario, ma insufficiente per il successo

Articolo di Massimiliano Iervolino pubblicato su huffingtonpost.it il 13 febbraio 2023

“Nel 2022 sono stati autorizzati nel nostro Paese 8 gigawatt di rinnovabili e quest’anno l’obiettivo resta superare i 10 gigawatt”, ha detto questa settimana il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin, durante una visita alla gigafactory di moduli fotovoltaici 3Sun di Enel, non lontano da Catania.

Parlando dell’impianto, il ministro ha detto che “il significato politico forte di questo investimento è la sua funzione di affrancamento del nostro Paese dall’estero, e segnatamente dalla Cina, anche sul fronte della produzione di impianti per l’energia rinnovabile”.

Guardare alle cose con ottimismo è necessario per avere successo, ma non sufficiente. Quindi, non per fare i guastafeste e vedere il bicchiere sempre mezzo vuoto, ma perché per riuscire, oltre all’ottimismo, è necessaria anche una visione precisa, meglio guardare alla realtà con un po’ più di accuratezza.

Gli 8 gigawatt (GW) autorizzati l’anno scorso menzionati da Fratin si riferiscono a procedimenti vagliati a livello statale dalle Commissioni VIA-VAS del Ministero dell’Ambiente e della Commissione tecnica PNIEC-PNRR, il cui obiettivo era autorizzare 7 GW. Si tratta quindi di un risultato che imprime un’accelerazione all’iter dei permessi.

Il problema è che le autorizzazioni in questione rappresentano solo uno dei tre passaggi attualmente necessari per impianti di taglia medio-grande. Gli altri due passaggi, quello di Verifica preventiva di interesse archeologico (Vpia) e quello di Autorizzazione Unica (AU), sono comunque necessari a livello regionale o provinciale e rappresentano altrettanti ostacoli ancora molto alti e difficili da scavalcare, il cui superamento rimane del tutto incerto – a causa soprattutto dell’opposizione delle Soprintendenze e della carenza di organici nelle amministrazioni locali.

Il problema degli organici dura da decenni e non si intravedono rimedi all’orizzonte. Circa l’opposizione quasi automatica e di principio delle Soprintendenze alle belle arti, sarebbe il caso che il governo e i suoi vari rami esecutivi – Ministero dell’Ambiente e Ministero della Cultura – facessero pace con sé stessi e si dessero un indirizzo comune, invece di remare in direzioni completamente opposte.

Il risultato di tale bipolarità dell’esecutivo è che, a fronte degli 8 GW di autorizzazioni (monche) sbandierate da Fratin, l’anno scorso sono stati installati “solo” 3 GW di rinnovabili – che è comunque un risultato migliore del passato. Per raggiungere gli obiettivi che l’Italia si è data al 2030, avremmo però bisogno di installare 8-10 GW l’anno, cioè più del doppio o del triplo dell’anno scorso. A questo ritmo ci vorrebbero comunque decenni per raggiungere gli obiettivi. E superare quest’anno l’obiettivo di 10 GW di autorizzazioni ministeriali potrebbe voler dire molto poco, se poi tali viatici si impantanano per anni negli uffici sottodimensionati di Regioni, Province e Comuni.

E qui veniamo alla fabbrica di Enel in Sicilia, che con la sua produzione dovrebbe contribuire ai tentativi di ricostruire una filiera italiana ed europea del fotovoltaico.

L’obiettivo della Commissione europea è raggiungere una capacità produttiva continentale di 20 GW nel 2025, a cui la fabbrica di Enel dovrebbe contribuire, a regime, nel 2024, con circa 3 GW, rispetto ad una domanda continentale che attorno al 2025 dovrebbe avvicinarsi a 45 GW. L’obiettivo dei 20 GW sembra realistico, in base ai piani delle varie gigafactory annunciati a suo tempo. Ma la parte più complessa della sfida sarà portare in Europa non tanto l’assemblaggio di moduli, bensì la produzione di wafer, celle e di tutte le altre componenti dei moduli, che rimangono in Cina.

Ammettiamo di accettare questa sfida e di voler fare sul serio per riportare in Europa un po’ tutti gli anelli della catena del valore fotovoltaica. La cosa richiederebbe comunque almeno una decina d’anni, ma cosa dovrebbe fare l’Europa per favorire questa trasformazione?

Lo scenario politico è già cambiato da quando sono stati fatti i primi progetti di gigafactory fotovoltaiche in Europa. Il produttore norvegese di moduli fotovoltaici REC ha recentemente deciso di cancellare la realizzazione di una fabbrica di moduli da 4 GW in Francia. Secondo indiscrezioni, la decisione sarebbe legata alla decisione di REC di investire invece negli Stati Uniti.

Gli USA, con l’Inflation Reduction Act (IRA), hanno avviato il loro più grande investimento della storia nelle rinnovabili, vincolando però le agevolazioni fiscali e finanziarie alla produzione e assemblaggio dei componenti fondamentali negli Stati Uniti.

Secondo stime di mercato, l’Innovation Fund europeo ha un impatto di riduzione dei costi calcolabile in 1-2 centesimi per Watt sul costo finale dei moduli fotovoltaici Made in EU, rispetto al beneficio di 10-12 centesimi per Watt che l’IRA riuscirebbe a fornire ai produttori che impiantino una nuova fabbrica negli Usa. Qualunque produttore di una certa dimensione fa presto a farsi due calcoli e a scegliere col portafoglio.

Si parla molto di un fondo sovrano europeo per investire in questi comparti o di consentire aiuti di Stato per favorire la nascita di campioni nazionali in settori strategici come quello dell’energia. Tale orientamento è però osteggiato da Paesi con bilanci deboli come l’Italia, che avrebbero difficoltà a finanziare questo tipo di operazioni.

Quel che è certo è che la Cina e gli Usa, Paesi che godono di piena capacità fiscale e politica, si stanno muovendo molto rapidamente e spregiudicatamente, per gli standard europei. L’Europa è invece intenta a preservare la concorrenza nel suo mercato interno. Questo sarebbe un obiettivo giusto, in linea di principio, che però non fa i conti con quanto sta succedendo sempre di più fuori dai suoi confini.

Se l’Europa vuole ricostruire filiere continentali, in qualunque settore, il dibattito dovrebbe forse incentrarsi su una sua maggiore integrazione fiscale e politica, perché altrimenti sarà difficile continuare a competere con una mano legata dietro la schiena.