Emergenza povertà in Lombardia e Milano

Articolo di Federica Valcauda e Oreste Gallo, membri di Direzione di Radicali Italiani

I dati preliminari che ci consentono di poter tracciare un quadro di partenza sufficientemente
esaustivo per descrivere la condizione di povertà in Lombardia sono rintracciabili nel
rapporto della Caritas Ambrosiana nel 2022, che conferma la tendenza dal 2018 ad un
impoverimento generale della popolazione, sia a livello nazionale che locale.

Infatti, i dati ISTAT ed EUROSTAT dal 2008 ad oggi evidenziano un aumento del numero di
persone che vivono in condizioni di povertà ed un parallelo aumento delle disuguaglianze
sociali, cosa che determina, di fatto, un blocco dello sviluppo sociale ed economico degli
individui. Condizione particolarmente vera per coloro che partono già da una condizione di
povertà.

Nell’anno 2022 c’è stato un aumento, rispetto all’anno 2021, delle persone che chiedono
aiuto economico ed il dato più preoccupante risulta essere quello di coloro che, pur avendo
un lavoro, non ricevono una retribuzione sufficiente a far fronte alle spese mensili,
necessitando dunque di un sostegno economico ulteriore.

Nel 2022 si è registrato un
incremento di richieste dei servizi d’aiuto Caritas del 5,1% rispetto al 2021 e del 17,3%
rispetto al 2020, anno in cui l’attività era stata fortemente condizionata dalle misure
restrittive legate alla pandemia, con le note ripercussioni sul mondo del lavoro.

Un aspetto particolarmente rilevante è quello della composizione sociale di coloro
che si rivolgono ai servizi Caritas: dal punto di vista dello status di cittadinanza, il
54% dei richiedenti aiuto è extracomunitario regolare, mentre il 40% è composto da
italiani, dato, quest’ultimo, che ha registrato un notevole aumento soprattutto nel
periodo successivo alla pandemia. Rispetto alla situazione occupazionale di chi
usufruisce dei servizi Caritas, si evidenzia come, nel 2022, il 29,9% dei richiedenti risultasse
disoccupato da lungo tempo (più di un anno), il 21,9% disoccupato da breve tempo (meno
di un anno), il 13,3% occupato part-time, il 9,9% occupato full-time.

Questi sono solo alcuni degli aspetti che abbiamo voluto sottolineare, ad indicare una
situazione molto complessa e volendo indicare due temi centrali, a nostro avviso: il primo è
quello relativo al trovare lavoro se si è in una condizione di disoccupazione da lungo tempo,
mentre l’altro è che esiste, in modo ormai non più eludibile, un problema severo legato al
lavoro povero. Da questo punto di vista, la proposta delle opposizioni di discutere una
legge sul salario minimo diventa sempre più urgente, insieme alla necessità di
sostituire in modo strutturale il reddito di cittadinanza.

Visti i cambiamenti che in questi anni hanno e stanno ancora attraversando il mondo del
lavoro, è sempre più complesso immaginare un reale reinserimento lavorativo per chi è
disoccupato da più di un anno e ha superato i 35 anni d’età. E’ proprio per questo che è
necessario fare una valutazione insieme alle principali sigle sindacali sulle modalità di
reinserimento lavorativo, che sia comprensiva non solo dell’inserimento di un sostegno
economico, ma che preveda una strutturale riforma dei centri per l’impiego, focalizzata sulla
formazione e declinata secondo la territorialità. In questo senso, gli ITS possono essere una
soluzione concreta su cui investire maggiormente, a livello locale e regionale.

Un ulteriore aspetto che ci preme qui indicare come problematico ed impattante sulla
condizione di povertà ed indigenza della popolazione, è quello del caro affitti a Milano, che è
strettamente collegato alla stagflazione che vive in generale il nostro paese. Infatti, non è
strano che una città metropolitana abbia un costo degli affitti più elevato, come accade in
altre città metropolitane europee, ma la differenza sostanziale, che poi determina il
problema, è che a questo aumento non è corrisposto, e continua a non corrispondere, un
aumento dei salari, problematica che si amplia a tutti gli aspetti della vita visti anche gli
aumenti dei prezzi in tutti i settori commerciali. Questa situazione produce i cosiddetti
‘working poors’, e non può più essere elusa a livello locale, regionale e nazionale.

La proposta di legge radicale su un reddito minimo d’inserimento è una soluzione che
va sostenuta, perché a differenza del reddito di cittadinanza, che non dava alcun incentivo a
trovare davvero lavoro, questa proposta aiuta realmente le persone ad uscire dalla
condizione di povertà in maniera autonoma: si dà sostegno senza assistenzialismo,
nell’ottica di dare servizi sociali sufficienti sui territori.