Riconoscere il lavoro sessuale come legittima professione per difendere i diritti e mitigare i rischi di abusi e violazioni
Articolo di Federica Oneda pubblicato su Il Dubbio del 13 giugno 2023
Decriminalizzare la prostituzione e garantire alle e ai sex worker gli stessi diritti che hanno altri lavoratori: questi sono stati i due punti centrali emersi durante il congresso “Sex workers speak out” tenutosi a Bologna gli scorsi 2 e 3 giugno.
Erano quasi vent’anni che nel nostro Paese non si organizzava un incontro simile, un appuntamento politico e di lotta sostanziale che ha visto coinvolti numerosi collettivi di tutt’Italia e, con loro, la nostra tesoriera Giulia Crivellini.
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Sono stati giorni di riflessioni, dibattiti e incontri in cui è emersa l’urgenza percepita di abbattere lo stigma sul lavoro sessuale e di rivendicare l’autodeterminazione delle e dei sex worker; si è manifestato contro l’attuale sistema giudiziario, contro le ordinanze in nome del decoro e per la libertà di esercitare il sex work. Durante il congresso sono emerse le numerose criticità della legge attuale in materia di lavoro sessuale.
Dal 1958, infatti, vige in Italia la legge Merlin che regolamenta la prostituzione attraverso un impianto “abolizionista” volto in teoria alla protezione delle donne che vendono sesso ma che ha finito per prendere di mira le lavoratrici e i lavoratori del sesso stessi, colpendo attività non solo inoffensive ma utili per garantire condizioni più sicure. Il paradosso del sistema italiano è che, nonostante si consideri la prostituzione legittima, questa libertà resta assoggettata a numerose limitazioni.
Si stima esistano più di 120.000 sex workers, ovvero 120.000 persone rese invisibili dall’ordinamento italiano e che si ritrovano ancora oggi completamente ignorate dallo Stato perché praticano un lavoro che viene considerato sempre e solo come sfruttamento e mai come risultato di una scelta, consapevole e autodeterminata.
Il modello legislativo attuale non permette di porre in atto politiche del lavoro e sociali a tutela di tantissime lavoratrici e lavoratori. Esiste però un’alternativa, la decriminalizzazione del sex work.
Secondo questo modello il sex work viene regolato secondo leggi del lavoro già esistenti, accordando diritti e doveri alle/ai sex worker, riconoscendo il lavoro sessuale come autonoma e legittima professione. Le politiche di decriminalizzazione rappresentano il miglior modo per difendere i diritti umani delle persone che esercitano lavoro sessuale e mitigare i rischi di abusi e violazioni nei loro confronti.
Questo è ciò che rivendicano oggi i collettivi di sex worker, questo è ciò che chiediamo noi Radicali con la nostra proposta di legge.