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Noi Radicali ci siamo sempre occupati dei “delusi”: i non rappresentati

Articolo di Massimiliano Iervolino pubblicato su Il Dubbio del 23 maggio 2023

È il partito piùgrande. Quello di coloro che non si sentono rappresentati da nessuna forza politica presente in Parlamento. Non si sono recati alle urne durante le ultime politiche e ammontano a quasi 17 milioni di persone. Nessuno parla di loro, nessuno cerca di capire per quale motivo hanno deciso di rimanere a casa tanto meno qualcuno ne intravede un pericolo.

Eppure siamo molto ben oltre i numeri delle cosiddette astensioni fisiologiche: i115%, il 20% oppure il 25%. I125 settembre del 2022 abbiamo raggiunto quasi il 37%. Qualche mese dopo per le regionali del Lazio, nella città amministrata da Roberto Gualtieri le persone che non si sono recate alle urne sono state quasi il 67% degli aventi diritto. Un numero enorme!

Queste cifre dovrebbero far rabbrividire chi si preoccupa per la tenuta della democrazia. Quando un numero elevato di persone confermano attraverso la non partecipazione alla vita democratica che esiste una distanza siderale tra le loro istanze e coloro che sono seduti nelle istituzioni allora abbiamo un problema, un grosso problema. Fare finta di nulla è da irresponsabili.

Storicamente i Radicali si sono sempre occupati “dei delusi” della politica. Lo abbiamo continuato a fare sia attraverso l’attivazione di strumenti di partecipazione sia affrontando il più delle volte questioni irrisolte dal parlamento. Lo spot di Radio Radicale “dentro ma fuori dal Palazzo” sintetizza benissimo il nostro modus operandi: sacralità delle istituzioni e attuazione dei principi costituzionali di partecipazione popolare attraverso l’utilizzo di referendum e proposte di legge di iniziativa popolare.

Uno degli esempi storicamente più degni di nota risale agli armi 70, ovvero alla piùgrande stagione di riforme civili che il nostro Paese ricordi. I Radicali furono capaci di rispondere a quella grande domanda di cambiamento che veniva da buona parte della società civile attraverso le mobilitazioni referendarie: la via nonviolenta e istituzionale come risposta alla violenza di piazza e del Palazzo.

Attraverso quelle mobilitazioni si riuscì a costruire una vera e propria “terza via” che da una parte fornì a molte delle persone con giuste istanze che animavano piazze, università e fabbriche degli strumenti democratici come alternativa all'”affascinante” richiamo alla rivolta violenta e dall’altra denunciava in Parlamento un sistema partitocratico che utilizzata la parola d’ordine “il fine giustifica i mezzi” per preservare anche in Italia gli accordi di Yalta.

Parliamo di un periodo storico dove la partecipazione alle elezioni era altissima. Fino al 1979, l’affluenza fu sempre superiore al 90 per cento, raggiungendo picchi del 93,39 per cento ne11976. Nel 1983 si scese perla prima volta sotto il 90 per cento: l’affluenza si fermò all’88 percento. Nelle tre tornate elettorali che seguirono, la percentuale dei votanti oscillò tra l’85 e l’89 per cento. Le ideologie del ‘900 riuscivano a tenere insieme le proteste di piazza con la partecipazione massiccia alle elezioni politiche.

La stragrande maggioranza delle persone che auspicavano dei cambiamenti nella società si riconosceva comunque in un partito rappresentato in Parlamento: i numeri elevati dell’affluenza stanno lì a dimostrarlo. Negli ultimi trent’anni tutto è cambiato. Dall’avvento della seconda repubblica a oggi le persone che hanno deciso di disertare le urne sono state sempre di più, basta leggere i dati sui partecipanti al voto.

Dall’83 per cento nel 1996 e all’81 per cento nel 2001, nel 2006 si è registrata una leggera risalita con un 83 per cento e un successivo calo all’81 per cento nel 2008. Nelle due elezioni politiche successive poi ancora una diminuzione: nel 2013 ha votato il 75 per cento degli elettori e nel 2018 il 73 per cento.

Così arriviamo alle ultime elezioni politiche, quelle del 2022, dove l’affluenza è scesa ancora al 63,9%, circa il 9% in meno rispetto alle precedenti. Una affluenza che ha retto fino al 2008 ovvero fino alla fine della stagione del “derby” berlusconiani contro antiberlusconiani. Per poi iniziare di nuovo a scendere con lo scoppio della crisi dei debiti sovrani e l’inaugurazione dei governi tecnici ossia degli esecutivi sorretti dalle cosiddette grandi coalizioni.

La pandemia da Covid 19 e la guerra in Ucraina hanno dato il colpo finale. Siamo passati dalla crisi finanziaria scoppiata tra il 2007/2008 negli Stati Uniti a quella italiana (ma non solo) che è divenuta crisi economica, sociale e istituzionale. Il partito più grande è quindi quello dell’astensione.

I motivi che hanno portato a questo record negativo sono tantissimi: dalle mancate risposte sui diritti civili alle continue difficoltà di fare impresa, passando per un sistema di welfare che non funziona alla sottovalutazione della più grande questione dei nostri tempi ossia il riscaldamento globale, per finire con lo strapotere delle mafie e con un sistema pensionistico che non regge più.

Si potrebbe continuare, tuttavia mi fermo qui. Infatti il punto è come porvi rimedio. Ed è una questione che deve riguardare soprattutto noi Radicali che storicamente abbiamo sempre svolto questo ruolo: coniugare la partecipazione popolare con la domanda di cambiamento del Paese. Ovvero diminuire la distanza che esiste tra popolo e istituzioni. E torniamo allo spot di Radio Radicale:” dentro ma fuori dal Palazzo”.