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Un inceneritore a Roma

Versione integrale dell’intervento di Massimiliano Iervolino pubblicato da Il Corriere della Sera il 25 aprile 2022

Correva l’anno 2013, tra i comitati e le forze politiche si discuteva come sostituire la discarica di Malagrotta ossia dove smaltire le circa 4.000 tonnellate al giorno di indifferenziato che si raccoglievano a Roma. Era una corsa contro il tempo, infatti l’invaso di Valle Galeria doveva chiudere giacché su di esso pendeva una procedura di infrazione aperta dalla Commissione europea nel 2011.

Vista l’imminente chiusura e considerata l’impossibilità di trovare una nuova discarica – difficoltà dovuta all’immagine che lasciava Malagrotta, al cattivo funzionamento dei TMB e al deficit di trattamento che comunque persisteva – si arrivò a un patto non scritto tra comitati cittadini e forze politiche: nel mentre si organizzava un ciclo dei rifiuti degno di questo nome i rifiuti sarebbero stati portati fuori Regione. Tempo stimato per l’operazione due o tre anni. Ne sono passati dieci: non è stato costruito neanche un impianto. Il problema è tutto qui. Ci si è adagiati pensando che comunque uno sbocco in altre città o in altre province lo si trovava. Nonostante le crisi cicliche che abbiamo avuto in questi lunghi anni e nonostante AMA abbia speso, per fare un esempio, dal 2013 al 2017 una cifra pari a circa 700 milioni di euro in extra costi proprio per il recupero, il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti in impianti non di proprietà.

Il sindaco di Roma nel 2013 era Ignazio Marino, il quale mise in campo il famoso progetto dei quattro ecodistretti: non se ne fece nulla. Un po’ per le proteste delle forze politiche e dei cittadini, un po’ perché la sua esperienza politica finì quasi subito davanti a un notaio.

Poi venne la sindaca Raggi, con lo slogan “rifiuti zero”. Parola d’ordine ripetuta come un mantra anche da quei comitati dei cittadini che in un modo o in un altro vivevano l’incubo rifiuti ogni giorno. A questi ultimi però non è mai stata detta tutta la verità: quella strategia comunque prevedeva l’individuazione di una discarica di servizio.

Inoltre la strategia “Rifiuti zero” doveva passare obbligatoriamente attraverso l’aumento della differenziata (soprattutto con l’estensione a tutta la città del porta a porta della frazione umida), la riconversione degli attuali TMB a recupero di materia (quindi senza produzione di CDR) e la costruzione di impianti di compostaggio sia aerobici che anaerobici. Ebbene in cinque anni la sindaca Raggi non è riuscita a realizzare neanche uno di questi punti. Ci abbiamo provato noi Radicali seguendo proprio quelle linee guida, attraverso la delibera di iniziativa popolare “Ripuliamo Roma” che, grazie alla firma di 7.000 cittadini, è arrivata in discussione in Aula Giulio Cesare. Il Movimento 5 Stelle votò contro e la delibera venne bocciata.

A quasi dieci anni dalla chiusura di Malagrotta non un impianto è stato costruito, la differenziata è sempre sotto gli obiettivi previsti dal testo unico ambientale, i TMB non funzionano bene tanto è vero che i rifiuti che poi vanno in discarica continuano a produrre percolato e quindi inquinamento. La Regione Lazio, intanto, ha approvato il suo Piano Rifiuti che, alla luce delle novità proposte da Gualtieri, nasce già morto.

E veniamo all’oggi, il sindaco di Roma ha proposto un termovalorizzatore per bruciare 600.000 tonnellate all’anno di tal quale. Superando così anche gli impianti intermedi: i TMB. Infatti – nonostante la corsa in queste ore di molte forze politiche a dire: lo avevamo detto – l’impianto proposto da Gualtieri è differente da quello esistente ad Acerra e San Vittore. Siamo di fronte ad una novità assoluta mai entrata nel dibattito romano.

La proposta del sindaco va nella direzione di un’economia lineare, la nostra andava verso quella circolare. Tuttavia è una scelta che come tale va trattata, ovvero di fronte all’immobilismo di questi anni va dato atto a Gualtieri di voler tentare qualcosa. Il problema maggiore di questi tipi di impianti è che sono rigidi e non flessibili rispetto all’evoluzione del ciclo dei rifiuti . Questo vuol dire che, se  negli anni Roma dovesse superare il 65% di differenziata, il termovalorizzatore avrebbe bisogno comunque di altri rifiuti per funzionare e per ripagare l’investimento iniziale. Intanto vedremo nelle prossime settimane cosa farà la Giunta Gualtieri. Bisognerà infatti capire per bene l’ubicazione, che tipo di impiego di risorse ci sarà e chi costruirà e gestirà l’impianto.

Infine, una riflessione che non vale solo per Roma ma per l’intero Paese. La fiducia dei cittadini verso le istituzioni è sempre più compromessa, e questo vale soprattutto quando si parla di rifiuti. Le responsabilità sono molteplici: da alcuni imprenditori senza scrupoli che hanno avvelenato parti di questo Paese alle forze politiche che, per sporchi calcoli elettorali, hanno cavalcato proteste immotivate finanche per contrastare semplici impianti di compostaggio, per finire con la criminalità organizzata che si è infiltrata laddove lo Stato ha fallito.

Per riavvicinare i cittadini alle istituzioni bisogna che gli organi di controllo facciano il loro mestiere, che le forze politiche dicano la verità senza cadere nella demagogia e che gli amministratori decidano, visto che sono stati eletti per quello. Per questo la proposta Gualtieri è un banco di prova importante. Ribadiamo che per noi la strada doveva essere un’altra, tuttavia quella del sindaco è comunque una scelta migliore dell’immobilismo che crea assai più danni ambientali.