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“Una rivoluzione culturale contro gli stereotipi”: intervista di Politica a Matteo Hallissey

Intervista di Fiammetta Freggiaro di Politica a Matteo Hallissey, neoeletto segretario dei Radicali Italiani, nonché segretario di partito più giovane di sempre in Italia. 


Considerando la sua carica all’interno dei Radicali Italiani – eletto Segretario appena ventenne – decisamente insolita nell’attuale panorama partitico dove l’età media va ben oltre i 40 anni, crede che l’essere giovane possa ancora considerarsi come fattore ostacolante la vita politica attiva?

I giovani si astengono di più e sono ancora meno fiduciosi in una classe dirigente che non si occupa dei nostri problemi. Quelli che fanno politica all’interno dei partiti spesso imitano gli stessi comportamenti ed errori delle altre generazioni, quando non ci servono altri burocrati di partito obbedienti.  Mentre vedo che sta crescendo la voglia di attivarsi anche in altri modi, magari a partire da singoli temi o raccolta firme. Penso ad esempio la referendum eutanasia e a quanto abbiamo entusiasmato e coinvolto tanti ragazzi e ragazze. Sicuramente oggi i giovani hanno ancora poco spazio all’interno dei ruoli dirigenziali nei partiti e nelle istituzioni, ma credo qualcosa stia iniziando a cambiare. 

Molto noto e di lungo corso è l’impegno dei Radicali rispetto a urgenze nazionali e internazionali quali il rispetto dei diritti umani e il sovraffollamento delle carceri. A questo riguardo,  quale obiettivo intendete raggiungere con la vostra iniziativa “Devi vedere” e come mai, di tutto ciò, non si parla mai abbastanza sui principali media?

Solo nelle ultime settimane pare ci sia maggiore attenzione sui media in merito alle condizioni delle carceri e dell’assurdità di questo istituto che, invece di riabilitare, viola qualsiasi diritto e ghettizza ulteriormente chi spesso è già ai margini della società. La nostra iniziativa Devi Vedere ha proprio l’obiettivo di portare tutti i cittadini a vedere con i propri occhi cosa significa fare essere detenuti e qual è la situazione delle prigioni italiane. Non serve andare in Ungheria per riscontrare disumanità e violenze. I casi di suicidi di queste prime settimane del 2024 sono addirittura superiori ai numeri già elevatissimi degli anni precedenti. E dietro ci sono storie ed esperienze di persone che perdono la vita e soffrono a causa di questo sistema. 

Altrettanto dimenticata e spesso screditata è la comunità Lgbtqia+, vittima peraltro di abusi e violenze sul luogo di lavoro: l’indagine Istat – Unar pubblicata nel 2022 rileva dati agghiaccianti per il nostro regime democratico. Il 26% delle persone occupate – o precedentemente occupate – che hanno dichiarato di essere omosessuali o bisessuali afferma che il proprio orientamento sessuale ha rappresentato uno svantaggio nella propria vita lavorativa, in almeno uno dei tre ambiti considerati: carriera e crescita professionale, riconoscimento e apprezzamento, reddito e retribuzione. Serve, dunque, una trasformazione culturale?

Assolutamente sì. Viviamo in un Paese dove ancora sono diffusi tantissimi tabù e c’è molta disinformazione. L’unico modo per combattere gli stereotipi e sfatare i luoghi comuni è cercare proprio di attuare una rivoluzione culturale che non può che partire da scuole e università, anche introducendo percorsi di informazione sessuoaffettiva. Ognuno di noi può fare tanto pure nella propria quotidianità per abbattere questi pregiudizi e battersi contro qualsiasi forma di violenza, anche quelle meno evidenti e quindi più subdole. Lo scorso anno, inoltre, abbiamo lanciato la campagna “Caro Sindaco Trascrivi” insieme a +Europa proponendo una mozione per i Consigli comunali per impegnare i sindaci a trascrivere interamente gli atti di nascita dei figli di coppie omogenitoriali.

Larghe fasce del nostro elettorato sono sempre più distanti dalla politica nazionale; quest’ultima risulta incapace di accoglierne le rispettive istanze, varando anno dopo anno tagli consistenti alla ricerca e alla sanità. In che modo intendete, attraverso il vostro programma, ridare fiducia alle nuove generazioni, residenti soprattutto nelle zone meridionali e meno servite del Paese, troppo spesso dimenticate dalle Istituzioni?

È una sfida gigantesca. Anzitutto dobbiamo tentare di ridare forza e attivare gli strumenti di partecipazione, con particolare attenzione ai livelli locali. In tanti Comuni, infatti, non esistono e sono impossibili da utilizzare tanti istituti di democrazia diretta che potrebbero essere molto importanti per coinvolgere realmente la popolazione nelle decisioni prese dalle istituzioni, facendo interessare tutti ai processi di scelta politica. Per quanto riguarda le giovani generazioni, andrebbe promosso un vero e proprio manifesto che unisca anche ragazzi con idee diverse su altri temi, ma legati dal medesimo interesse per gli argomenti che riguardano il nostro futuro, dalle possibili risposte al caro affitti fino al voto fuorisede, passando per il sistema previdenziale e il debito pubblico insostenibili, su cui nessuno dice nulla e nessuno si oppone. Non è assurdo?

Restando sempre nell’orbita delle problematiche vissute dalle nuove generazioni, negli ultimi anni il consumo di psicofarmaci sta decisamente aumentando; la politica, dal canto suo, non sembra prestare molta attenzione al disagio sociale, ormai dilagante, né tantomeno sembra porsi interrogativi sulle motivazioni sottese a ciò. In quest’ottica, quale rischio viene collettivamente ignorato?

L’aumento del consumo di psicofarmaci tra le nuove generazioni è sintomatico di una più ampia “epidemia di solitudine” che attraversa la nostra società e colpisce in particolare proprio i giovani. La politica finora ha completamente trascurato questo disagio, ignorando spesso le cause profonde che lo alimentano, come l’isolamento, la pressione sociale e l’incertezza economica. Anche le nuove tecnologie, se non gestite e guidate nella giusta direzione, rischiano di intensificare questi problemi drammaticamente. È fondamentale che la politica inizi a considerare il benessere mentale come una priorità, investendo in servizi di supporto accessibili e in campagne di sensibilizzazione che possano contribuire a ridurre lo stigma e a promuovere una cultura della cura e del supporto reciproco. C’è sempre più consapevolezza, soprattutto tra i giovani, e dobbiamo ancora insistere. 

Nel prossimo giugno si terranno le elezioni europee. Da più parti, c’è chi critica la comunicazione istituzionale di Bruxelles e Strasburgo imputandole poca funzionalità e, soprattutto, eccessiva distanza dalla comunità, disincentivata al voto. Qual è la sua posizione? Crede siano necessari dei correttivi?

Le istituzioni europee negli ultimi anni fatto grandi tentativi per cercare di avere una comunicazione più vicina ai cittadini e ai giovani, mentre tante forze reazionarie continuano a tracciarne un ritratto di organizzazione burocratiche e distanti. Oltre a continuare questo lavoro di sensibilizzazione, occorre mettere a sistema gli esperimenti di partecipazione alle decisioni delle istituzioni europee, come la conferenza sul futuro dell’Europa, e chiedere una vera rivoluzione europea, un cambiamento profondo delle istituzioni UE nell’ottica di arrivare agli Stati Uniti d’Europa e quindi ad una maggiore integrazione su settori fondamentali. Oggi il livello europeo è quello minimo per affrontare mille sfide, dalla transizione ecologica alla gestione dei flussi migratori, passando per la politica estera e di difesa.