Articolo di Massimiliano Iervolino pubblicato il 10 agosto 2023 su l’Unità
Chi volesse misurare lo stato della democrazia in Italia dovrebbe partecipare a un tavolo Radicale di raccolta firme. Lì c’è il vero confronto con le persone, se ne percepiscono gli umori, la rabbia e la disillusione verso la politica. Come dargli torto: a tre crisi globali il nostro Paese ha risposto con interventi ordinari. Infatti, nelle strade e nelle piazze ci si rende conto che quei 17 milioni di elettori che hanno disertato le urne durante le ultime politiche sono il risultato di un malessere profondo e diffuso. Tanto è vero che le successive elezioni regionali e comunali hanno confermato questo trend negativo e allarmante.
Marco Pannella definiva i banchetti radicali come le nostre sedi. Per decenni queste postazioni sono servite anche a misurare la condizione della nostra democrazia. Oltre alle proposte nel merito, stare tra la gente serve a capire lo stato dell’informazione, il rapporto con la politica parlamentare, la voglia di partecipare alla vita politica attraverso gli strumenti previsti dalla Costituzione, l’avanzata o meno di alcuni populismi infarciti di antieuropeismo, e tanto altro. In poche parole, il contatto con i cittadini ne misura la distanza dal Palazzo: la fiducia o la sfiducia verso le Istituzioni.
Siamo ai minimi termini, basta ascoltare coloro che vengono invitati a firmare dai nostri militanti: “Ancora con queste raccolte firme?”, “Non cambia nulla, le abbiamo provate tutte”, “Siete tutti uguali”, “Che fine hanno fatto i referendum per l’eutanasia e per la cannabis”, “Noi votiamo poi i partiti si mettono d’accordo e formano tutt’altri Governi”. Potrei continuare però mi fermo qui. Riempire una pagina di queste domande e spiegazioni non avrebbe l’effetto desiderato: aprire un dibattito sullo stato della nostra democrazia.
Dagli anni ’70 a oggi i Radicali hanno avuto sempre bene a mente come l’utilizzo degli strumenti di iniziativa popolare (referendum e proposte di legge) servisse a raggiungere un duplice obiettivo: avvicinare più persone possibili alla vita democratica del Paese, non lasciando il monopolio ai partiti, proporre riforme che il Parlamento non riesce ad approvare.
Ed è sempre questo lo spirito che ci ha portati alla decisione di depositare sei proposte di legge di iniziativa popolare su altrettante riforme utili per l’Italia, su ambiente, economia e diritti: dal consumo di suolo alla riforma del Titolo V per una competenza esclusiva in materia energetica per lo Stato, passando per una legge contro la povertà a una compensazione dei debiti della pubblica amministrazione verso le imprese, chiudendo con una nuova normativa capace di rendere l’aborto un diritto effettivo e la decriminalizzazione delle e dei sex worker.
Temi cruciali per il nostro Paese la cui trattazione non adeguata da parte dei governi e dei parlamenti che si sono succeduti ha contribuito alla disaffezione verso la politica. Basti pensare che dal 2008 al 2022 gli aventi diritto che hanno deciso di non recarsi alle urne sono aumentati di circa il 17%: una percentuale enorme.
I testi che abbiamo depositato in Cassazione li stiamo portando all’attenzione degli italiani, per chiedere loro una firma, anzi sei. Un compito difficile non solo per il clima che si respira nel nostro Paese ma anche per un’informazione che non c’è.
Il conoscere per deliberare di einaudiana memoria è parte essenziale di una democrazia. Per questo ho chiesto ospitalità nel suo giornale al direttore Piero Sansonetti. Non solo per presentare alle lettrici e ai lettori le nostre proposte, ma per riaffermare un metodo al 100% democratico, ben sintetizzato dallo storico slogan di Radio Radicale: dentro ma fuori dal Palazzo.
Quel Palazzo che ha sempre fatto di tutto per mettere i bastoni tra le ruote alla partecipazione popolare. Ancora oggi è così. Si pensi alle numerose formalità amministrative e burocratiche a carico del Comitato Promotore, come, per esempio, il reperimento e l’abbinamento dei certificati elettorali. O alle figure che per legge possono autenticare le firme che, seppure aumentate rispetto al passato, restano di difficile reperibilità, soprattutto in questi mesi estivi; anche per questo rivolgiamo un appello ai consiglieri comunali e regionali che possono darci una mano venendo con noi nelle piazze e nelle strade ai nostri tavoli per compiere un esercizio di democrazia.
Ma si pensi, soprattutto, alla piattaforma online pubblica e gratuita per raccogliere le firme tramite SPID su referendum e leggi di iniziativa popolare che avrebbe dovuto essere operativa da gennaio del 2022 (non è un refuso) ma di cui ancora non v’è traccia. Tanto è vero che i nostri testi sono sottoscrivibili (radicali.it/firma) attraverso una piattaforma privata a pagamento (1 euro e mezzo a firma). Pertanto, presenteremo una class action contro il Governo, il quale è in perfetta continuità con quelli che l’hanno preceduto: ostacolare i cittadini che vogliono utilizzare gli strumenti previsti dalla Costituzione.
Noi però non ci arrendiamo: firmate!
La legge attuale sul sex work ha ottenuto un unico risultato: prendere di mira le lavoratrici e i lavoratori del sesso e rendere le loro condizioni di vita meno sicure.
il numero stimato di persone che esercitano nel mondo del sex work supera i centomila, per un mercato di circa 3 milioni di clienti e un fatturato secondo il Codacons che si aggirerebbe sui 3,6 miliardi di euro l’anno. A vendere servizi sessuali sono principalmente donne, ma anche persone trans (attorno al 15%) e uomini (forse il 5%). i Clienti sono invece principalmente uomini di ogni età, professione, opinione politica, livello di istruzione e di reddito
La proposta di legge dei Radicali Italiani chiede una piena decriminalizzazione del sex work. Rimuovendo tutti i divieti, le sanzioni e gli ostacoli normativi che si abbattono su un’intera categoria di persone e riconoscendo il lavoro sessuale come autonoma e legittima professione.