Nel 1982 nasceva il Comitato per i diritti civili delle prostitute guidato da Pia Covre e Carla Corso per chiedere tutele, dignità e diritti. Il primo documento si intitolava “le prostitute rivendicano il diritto all’esistenza” e chiedevano la depenalizzazione dei reati che rendevano loro la vita impossibile. Le lavoratrici del sesso iniziarono a prendersi uno spazio all’interno del movimento femminista, riscrivendo la prostituzione come sex work e definendo il loro femminismo esattamente in virtù del loro utilizzo della sessualità al di fuori dei percorsi tracciati dall’ordine patriarcale (come il matrimonio o la monogamia), “l’essere donne di tutti, e quindi donne di nessuno, e il godere di una libertà sessuale pari a quella degli uomini”.
La legge attuale sul sex work ha ottenuto un unico risultato: prendere di mira le lavoratrici e i lavoratori del sesso e rendere le loro condizioni di vita meno sicure.
Il numero stimato di persone che esercitano nel mondo del sex work supera i centomila, per un mercato di circa 3 milioni di clienti e un fatturato secondo il Codacons che si aggirerebbe sui 3,6 miliardi di euro l’anno. A vendere servizi sessuali sono principalmente donne, ma anche persone trans (attorno al 15%) e uomini (forse il 5%). I Clienti sono invece principalmente uomini di ogni età, professione, opinione politica, livello di istruzione e di reddito.
La proposta di legge dei Radicali Italiani chiede una piena decriminalizzazione del sex work. Rimuovendo tutti i divieti, le sanzioni e gli ostacoli normativi che si abbattono su un’intera categoria di persone e riconoscendo il lavoro sessuale come autonoma e legittima professione.