Lettera aperta a Elly Schlein, Giuseppe Conte, Carlo Calenda, Matteo Renzi, Riccardo Magi, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni
di Massimiliano Iervolino, segretario di Radicali italiani, pubblicato su il Dubbio del 9 maggio 2023
Oggi è il 9 maggio, la Giornata dell’Europa. Sono passati più di settanta anni dalla dichiarazione dell’allora ministro degli Esteri francese Robert Schuman per una nuova forma di collaborazione politica in Europa attraverso la creazione di una Comunità europea del carbone e dell’acciaio. La proposta di Schuman è considerata l’atto di nascita di quella che oggi è l’Unione europea.
In questi oltre sette decenni il processo di integrazione europea ha visto tanti stop and go. Soffermandoci sugli ultimi quindici anni, il Vecchio Continente è stato travolto da almeno tre crisi: debiti sovrani, pandemia e guerra in Ucraina. La prima è stata una crisi asimmetrica (riguardava solo alcuni Stati membri), le altre due simmetriche. La risposta della politica è stata lenta, e in gran parte inefficace. A eventi eccezionali in Italia si è risposto con l’ordinario. Intanto sul campo si sono lasciati morti e feriti, basti vedere quante imprese hanno dovuto chiudere e leggere i dati sulle condizioni economiche della popolazione, soprattutto quella del Sud Italia. In questi dolorosissimi lustri le uniche risposte – anche se tardive – sono arrivate dalle istituzioni europee: il «Whatever it takes» di Mario Draghi del 2012 nelle vesti di governatore della Banca Centrale Europea e il primo esperimento di debito comune con il Recovery Fund voluto dalla Commissione guidata da Ursula von der Leyen.
A crisi globali non si può rispondere attraverso misure dettate dagli Stati membri. A eventi eccezionali non si può reagire con la lentezza decisionale della governance intergovernativa. Per questo non basta essere europeisti ma bisogna essere federalisti. Occorrono gli Stati Uniti d’Europa!
L’elefante europeo è tale per la necessità dell’unanimità tra Stati membri; infatti, divisioni e lentezza ne pregiudicano sia l’efficacia che l’efficienza soprattutto nei confronti di colossi come la Cina e gli Stati Uniti d’America.
Un esempio. Qualche mese fa negli USA è stato varato l’Inflation Reduction Act, il piano da 370 miliardi di dollari di sovvenzioni e prestiti per accelerare la conquista della frontiera verde nella produzione di energia, infrastrutture, prodotti puliti, auto elettrica in testa. È la risposta di Joe Biden alla Cina. Schiacciato tra questi due giganti, l’elefante europeo – con regole, burocrazia e governance istituzionale troppo tortuose – ha protestato. L’Europa con un assetto federale (politica di bilancio e fiscale comune) avrebbe potuto finanziare il suo Inflation Reduction Act.La proposta di sostenerlo economicamente tramite emissione di debito europeo, invece, è stata bocciata dalla necessità di arrivare all’unanimità tra i ventisette Stati: il “miracolo” del recovery fund non si è ripetuto. Un altro esempio del perché l’Europa intergovernativa non funziona.
Tuttavia l’elefante si è mosso. La Commissione europea ha approvato nuove regole che consentono agli Stati membri di concedere aiuti pubblici alle imprese. Non avendo però ripetuto il “miracolo” del recovery fund, ovvero di emissione di debito comune, l’allentamento degli aiuti di Stato potrebbe avvantaggiare chi ha elevati spazi di bilancio: Germania e Francia. La potenza di fuoco di alcuni, quindi, rischia di far saltare il mercato unico creando, di fatto, un’Europa economica, industriale, tecnologica a più velocità di sviluppo e di competitività. Proprio a discapito di coloro che avendo un elevato debito pubblico non possono permettersi spese elevate per una politica industriale verde.
Questo è solo uno degli esempi della inefficacia della governance intergovernativa. Anche per colpa di tale inadeguatezza la crisi finanziaria del 2007/2008 scoppiata negli Stati Uniti si è poi trasformata in Europa in crisi economica, sociale e istituzionale. Questo è avvenuto soprattutto in Italia: il malato europeo.
Continuare a volere un’Europa intergovernativa, ovvero confederale, non fa altro che aggravare la situazione sull’immigrazione, sull’energia, sul debito, sull’innovazione e su molto altro: il nostro Paese avrebbe tutta la convenienza di abbracciare la scelta federalista, e invece…
In Italia ci troviamo di fronte a un Governo conservatore che si avvicina sempre di più alle posizioni del Gruppo di Visegrad: la conferma e il rilancio dell’Europa delle nazioni, per di più con il tentativo di dichiarare il diritto interno superiore a quello comunitario e di bloccare tutte le direttive che vanno verso l’innovazione e la ricerca.
L’anno prossimo si terranno le elezioni europee, la legge elettorale per questa competizione è di tipo proporzionale, quindi ognuno farà corsa a sé. Tuttavia c’è una compagine di Governo che in termini di governance comunitaria condivide lo status quo ovvero l’assetto intergovernativo, ovvero l’Europa delle Patrie.
Per questo è urgente una iniziativa opposta. Cari segretari di partiti dell’opposizione, presentatevi pure con il simbolo che ritenete più opportuno ma all’interno di questo scrivete “per gli Stati Uniti d’Europa!”.
Sarebbe un segnale importantissimo. Su tanti temi non siamo d’accordo, ma su questo credo non possiamo che esserlo. Ora facciamo fronte comune. Esplicitiamolo senza più nessun indugio. Quale migliore occasione delle imminenti elezioni europee? All’Europa delle Patrie (delle destre) proponiamo tutti insieme l’unica vera alternativa: la Patria europea. Buon 9 maggio!