Dal voto di protesta all’astensione: l’alternativa che non c’è

Articolo di Massimiliano Iervolino pubblicato su Il Dubbio del 13 febbraio 2023

Durerà poco, come sempre accade. Al massimo due o tre giorni. Poi i grandi giornali, i più potenti talk show e i maggiori partiti riprenderanno la loro vita quotidiana come nulla fosse successo. Magari i molti torneranno ad indignarsi, per un bacio mica per altro. Eppure negli ultimi 15 anni tanto è accaduto, soprattutto nel nostro Paese. La democrazia è in crisi. Se in occasione del voto regionale di Lazio e Lombardia sei persone su dieci restano a casa qualche ragionamento più strutturato lo devi fare.

Nondimeno venendo da una consultazione nazionale con un’affluenza ai minimi storici. Tutto abbastanza prevedibile, ne ho scritto, ne abbiamo parlato. Nella clandestinità Radicale, ovviamente. Lo diciamo da tempo: la distanza tra i cittadini e le istituzioni aumenta sempre di più. Inascoltati, come sempre. Tanto l’allarme di regime per questo scollamento tra popolo e palazzo durerà un battito di ciglia, tuttavia la tenuta democratica del nostro Paese è invece cosa seria che va affrontata. Il vincolo esterno influisce ma fino ad un certo punto.

Veniamo da 15 anni di eventi eccezionali: la crisi del 2007-2008, quella dei debiti sovrani, il susseguirsi di grandi coalizioni e governi tecnici, la pandemia da Covid 19, la crisi sanitaria e sociale, la guerra in Ucraina, la crisi energetica e l’inflazione. La risposta della politica è stata lenta, e in gran parte inefficace. Ad eventi eccezionali in Italia si è riposto con l’ordinario. Intanto sul campo si sono lasciati morti e feriti, basti vedere quante imprese hanno dovuto chiudere e leggere i dati sulle condizioni economiche della popolazione, soprattutto quella del sud Italia.

In questi dolorosissimi lustri le uniche risposte – anche se tardive – sono arrivate dalle istituzioni europee: il «Whatever it takes» di Mario Draghi nel 2012 nelle vesti di governatore della Banca Centrale europea e il primo esperimento di debito comune con il Recovery Found voluto dalla Commissione guidata da Ursula von der Leyen.

La crisi finanziaria del 2007-2008 è stata una grave crisi economica, la più dura dai tempi della Grande Depressione. È partita dagli Stati Uniti ma ha avuto un impatto devastante anche in Italia con la crisi dei debiti sovrani. La protesta di allora in parte si istituzionalizzò con la nascita, la crescita e l’esplosione elettorale del Movimento 5 Stelle. Oggi invece – dopo la pandemia, la crisi sociale e le conseguenze della guerra in Ucraina – la protesta si canalizza nel partito del non voto.

Chi oggi si astiene è vittima da una parte della lentezza delle risposte europee – lungaggine dovuta soprattutto all’assetto intergovernativo e non federale, basti vedere quanto tempo ci è voluto per approvare il Price Cap – e dall’altra della assoluta mancanza di riforme strutturali del nostro Paese. La politica è debole, i partiti quasi delegittimati.

Chi protesta non vota. Basta vedere cosa è successo in Lombardia. Nonostante una gestione scellerata della pandemia da Covid 19 – frutto di scelte decennali in materia sanitaria che hanno pesantemente penalizzato la medicina territoriale a vantaggio dell’ospedalizazzione, soprattutto privata – Fontana è stato riconfermato a Presidente della Regione Lombardia con una percentuale maggiore del 50%, a fronte di una affluenza alle urne di poco superiore al 40%. Ciò vuol dire che chi non ne ha apprezzato l’operato, ha preferito stare a casa, non vedendo nell’offerta politica alternativa un vero possibile cambiamento.

A ciò si aggiunga la debolezza dei candidati in campo, l’esito abbastanza scontato delle elezioni e un fronte che si oppone al Governo Meloni il quale fa fatica a trovare un minimo comune denominatore finanche per le regionali. Ed ecco che sei su dieci elettori tra il Lazio e la Lombardia non si recano alle urne.

L’alternativa politica a tutto questo è quello che manca, purtroppo è l’ordinario che regna, e quando avviene questo – soprattutto in momenti di crisi come quelli vissuti negli ultimi quindici anni– la gente si stufa. Nauseata reagisce stando a casa, è questo il vero pericolo ma non per una parte politica o per l’altra bensì per la democrazia tutta.