Articolo di Massimilian Iervolino pubblicato su Il Dubbio del 1 febbraio 2023
Da una parte lo Stato scarica sulle Regioni la responsabilità di agire e dall’altra non dà loro le risorse necessarie per esercitarla. Per cambiare le cose serve un piano coordinato su scala nazionale e regionale
L’inquinamento dell’aria è all’origine del 10% dei casi di cancro in Europa, secondo l’ultimo rapporto dell’Agenzia ambientale europea (EEA). E fortunatamente l’aria in Europa è più pulita che in altre parti della Terra. Allargando lo sguardo su orizzonti mondiali, infatti, si scopre che le cose vanno ancora peggio: un decesso su sei in tutto il pianeta è causato dall’inquinamento, secondo i dati più recenti della Lancet Commission.
I morti da inquinamento sono almeno 9 milioni ogni anno. Più dei decessi dovuti a incidenti stradali, AIDS, malaria e tubercolosi messi insieme. La Lancet Commission quantifica l’impatto economico dell’inquinamento atmosferico in 4.600 miliardi di dollari l’anno – 522 milioni di dollari l’ora, quasi 9 milioni di dollari al minuto andati letteralmente in fumo.
Anche se oltre il 90% dei decessi legati all’inquinamento atmosferico avviene in Asia, America Latina e Africa, l’Europa e l’Italia hanno poco da consolarsi.
L’Europa è mediamente messa meno peggio ma ci sono differenze significative da una nazione all’altra, principalmente nelle aree urbane. Le differenze si notano soprattutto confrontando l’Europa nord-occidentale, dove la qualità dell’aria è meno critica nelle città, e l’Europa sud-orientale. Questa comprende tutti i Paesi dell’est Europa, oltre a Italia e Grecia, “dove le criticità dovuta alla scarsa qualità dell’aria nelle città è sistematica”, secondo il rapporto “Qualità dell’aria”, preparato nel 2022 dall’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASVIS).
L’inquinamento atmosferico è un problema che caratterizza quindi in modo particolare le città italiane.
Dai dati del rapporto di Legambiente Mal’Aria di città 2022 e di agenzie come l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) emergono tre indicazioni fondamentali.
1) L’Italia non fa abbastanza. La tendenza attuale alla riduzione delle emissioni inquinanti, infatti, non basta a rispettare i limiti della direttiva europea in materia, né i valori massimi di inquinanti per la tutela della salute stabiliti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
2) La coperta ambientale italiana è corta; la tiri da una parte e ne lascia scoperta un’altra. Le normative sempre più stringenti per il trasporto su strada e le attività industriali sono state almeno in parte vanificate dall’aumento di altre fonti di inquinamento atmosferico, come i particolati, legati all’uso delle biomasse per il riscaldamento, agli allevamenti intensivi e ai fertilizzanti sintetici.
3) Il Nord Italia, e in particolare il bacino Padano, sono l’hotspot più critico per quanto riguarda l’inquinamento atmosferico in Italia.
Relativamente a questo ultimo aspetto, secondo un altro studio pubblicato nel gennaio 2021 da The Lancet Planetary Health sul tasso di mortalità legato all’inquinamento da particolato sottile e biossido di azoto in mille città europee, il bacino padano è l’area a maggiore rischio sanitario fra tutte quelle considerate, insieme ad alcune regioni della Polonia e della Repubblica Ceca.
Secondo Legambiente, le aree che storicamente registrano le concentrazioni di polveri più alte nel bacino Padano sono i capoluoghi lombardi del triangolo zootecnico tra Cremona, Mantova e Brescia, e quelli dell’area a più elevata densità di popolazione e traffico stradale, cioè Milano e Monza. In queste aree critiche, qualche miglioramento si è avuto, stando al nuovo rapporto di Legambiente Mal’Aria di città 2023. Le città che hanno storicamente registrato i valori più alti, cioè la quasi totalità dei centri urbani del bacino padano, hanno infatti segnato riduzioni annue medie dell’1-5%.
“Un segnale incoraggiante per certi versi, visto che l’inquinamento sembra diminuire, ma preoccupante dall’altro perché, partendo da una situazione cronicamente critica (mediamente queste città dovranno ridurre le loro concentrazioni del 30% nei prossimi 7 anni), il trend di diminuzione è troppo lento per riuscire a rispettare i nuovi limiti normativi. I tempi per rientrare nei nuovi limiti sarebbero dell’ordine di circa 15 anni”, si legge nel nuovo rapporto di Legambiente.
Come spesso succede in Italia, buona parte del problema sta nei meccanismi amministrativi, regolatori e normativi. In base alle direttive europee, le Regioni devono preparare dei Piani regionali di tutela e risanamento della qualità dell’aria (PTRQA). Secondo Legambiente, il legislatore nazionale ha commesso una serie di errori fondamentali nell’attuazione del decreto di recepimento della direttiva europea.
In primis, l’elaborazione dei piani non è stata accompagnata dallo stanziamento delle risorse necessarie alla loro attuazione. Non esiste poi un coordinamento adeguato tra le Regioni. Inoltre, l’attribuzione della responsabilità del risanamento esclusivamente alle Regioni esclude responsabilità e competenze nazionali. Da una parte, quindi, lo Stato scarica sulle Regioni questa responsabilità e dall’altra non dà loro le risorse necessarie per esercitarla. Non si capisce bene a chi serva questa situazione. Non certo alle Regioni, dove l’aria continua ad essere inquinata e le persone a morire, ma neanche allo Stato, perché se la competenza dei Piani è delle Regioni, chi poi paga le sanzioni comminate dall’Unione Europea è lo Stato. Da tutto ciò non può scaturire altro che un risultato opposto a quello ricercato, e cioè un principio di irresponsabilità diffusa che impedisce di raggiungere risultati significativi.