Articolo di Massimiliano Iervolino pubblicato su huffingtonpost.it il 27 gennaio 2023
L’obiettivo del PNRR, come sappiamo, è quello di raggiungere i 70 GW di nuova potenza installata da fonti rinnovabili entro il 2030. Un obiettivo fondamentale per mettere in linea il nostro Paese con i traguardi europei, attuare la transizione ecologica ed essere sempre più indipendenti dal gas. Ma la complessità delle norme e i tempi biblici per autorizzare i grandi impianti fotovoltaici ed eolici sono un grande ostacolo che frena una più rapida diffusione delle energie rinnovabili – molto più delle disponibilità finanziarie o delle soluzioni tecnologiche.
Questa la visione che si ha guardando il fenomeno dall’alto, considerando il peso della burocrazia nel suo complesso. Se però ci si cala sui territori e si va a vedere il funzionamento sul campo delle procedure, ci si accorge che la lentezza delle autorizzazioni dipende non tanto dalla complessità in sé delle norme, anche se queste sono sicuramente migliorabili.
I tempi biblici sono riconducibili essenzialmente a due fenomeni: uno è di carattere generale, ed è la carenza strutturale di organici e competenze ai vari livelli della pubblica amministrazione, in particolare Regioni e Comuni. L’altro fenomeno è più specifico, ed è l’ostruzionismo ideologico, ostinato e spesso ottuso delle Soprintendenze Archeologia, Belle Arti e Paesaggio.
Basta parlare con ingegneri e avvocati degli studi tecnici e legali che quotidianamente si rapportano con la pubblica amministrazione per autorizzare impianti a energie rinnovabili, soprattutto di grossa taglia, e nei loro racconti questi due fattori si stagliano subito,chiari, ingombranti e inconfondibili, suscitando incubi del passato e gettando ombre sul futuro.
Soprintendenze
C’è chi parla di “dittatura” delle soprintendenze per le belle arti. La definisce così Giovanni Battista Zorzoli, presidente onorario del Coordinamento Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica (FREE) e presidente dell’Associazione Italiana Economisti dell’Energia (AIEE). Da anni Zorzoli auspica la necessità di definire dei criteri che limitino l’arbitrarietà con cui le soprintendenze possono decidere quello che vogliono, anche al di fuori del perimetro delle loro prerogative. Pur con tutte le necessarie tutele per i beni culturali e paesaggistici, una volta definite le cose di cui si può e si deve occupare una soprintendenza, una volta rispettate tutte le norme e ottenuti tutti gli assensi degli organismi competenti, alle soprintendenze non dovrebbe essere concesso di mettersi di traverso per partito preso, con ricorsi a cui non avrebbero titolo e che non hanno altro scopo che ritardare la concessione delle autorizzazioni. Secondo un recente studio della Fondazione per l’Analisi, gli Studi e le Ricerche sulla Riforma delle Istituzioni democratiche e sull’innovazione nelle amministrazioni pubbliche (ASTRID), oltre il 50% dei progetti valutati positivamente dalla commissione VIA PNRR-PNIEC non ha superato il primo vaglio del Ministero della Cultura (MiC). Inoltre, il direttore generale del Ministero della Cultura non è vincolato alle conclusioni della commissione VIA PNRR-PNIEC. E, anche se il MiC concedesse il proprio assenso, ci sarebbe comunque un’altra barriera rappresentata dagli atti di ulteriore assenso dei singoli Soprintendenti nell’ambito dei procedimenti di Autorizzazione Unica (AU) comunque necessari, in cui il soprintendente ha facoltà di esprimersi non solo sulle aree direttamente interessate dalla proposta d’impianto, ma anche su quelle confinanti. Sono quindi addirittura tre le possibili fasi in cui il MiC interviene sullo stesso progetto e in ambiti allargati. Forse è un po’ troppo. Forse può bastare una fase sola, o eventualmente accorpare la Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA) con l’Autorizzazione Unica (AU) o circoscrivere l’ambito alle sole aree direttamente interessate.
Organici
Quella delle carenze di organico è una questione interessante. A parità di complessità delle leggi e di carenza di organici, ci sono amministrazioni locali che funzionano meglio di altre, che riescono cioè a processare in tempi relativamente rapidi ed entro i termini di legge la maggior parte delle richieste autorizzative. Fra queste c’è, per esempio, il Lazio.
In questi casi, non si può fare a meno di notare che almeno parte della soluzione al problema della burocrazia sta nell’atteggiamento, nella professionalità, nella abnegazione dei dirigenti e funzionari pubblici. Promuovere e diffondere tali fattori dovrebbe essere una priorità dei governi, che potrebbero fare di più per premiare la maggiore produttività di alcuni dipartimenti.
Ci sono però amministrazioni locali, come quella della Sicilia, che si ritrovano a processare centinaia di richieste di impianti, anche da centinaia di MW, quindi particolarmente complesse, con un numero di addetti degli uffici competenti che si conta sulle dita di una mano. E regi decreti ancora in vigore da rispettare. In questi casi, non c’è abnegazione che tenga. In qualche modo, bisogna dirottare una parte più consistente dei tantissimi soldi pubblici, privati e di istituzioni multilaterali che girano attorno alla transizione energetica verso le amministrazioni di un po’ tutti i livelli, per rafforzarne organici e competenze – a prescindere dalle semplificazioni.
Se non si riesce a risolvere le questioni delle soprintendenze e degli organici pubblici, limitando la portata delle prime e aumentando le capacità dei secondi, qualunque semplificazione sulla carta farà la fine delle non poche già approvate. Sarà destinata a rimanere più o meno lettera morta. O comunque a non permettere il dispiegamento delle energie rinnovabili nelle quantità e nei tempi necessari.