Il destino degli oppositori di Putin che scelgono di non lasciare la Russia

Articolo di Marco Eramo pubblicato su Il Dubbio del 7 settembre 2022

Tra chi ha sostenuto sin da subito il popolo ucraino e il suo diritto a difendersi dall’aggressione della Russia, condividendo lo spirito delle decisioni adottate dalla comunità internazionale, c’è Radicali Italiani. Su un punto, però, la posizione radicale si è distinta e continua a distinguersi. A differenza di chi ritiene necessario e possibile stabilire delle condizioni per la trattativa, ovvero definire quali altri sacrifici l’Ucraina debba essere disposta ad accettare per poter giungere a un confronto diplomatico, per Radicali Italiani a Putin e al suo regime non può essere offerta altra strada se non quella diretta all’Aja. Ed è per questo che all’indomani dell’invasione russa è stata promossa la sottoscrizione di un appello per l’incriminazione di Putin di fronte alla Corte Penale Internazionale.

Ciò non solo perché una posizione pronta al compromesso è mistificante e mortificante per chi vive sotto le bombe di Putin in Ucraina e poco lungimirante per l’intera comunità internazionale, ma anche perché ignora il punto di vista, poco conosciuto, dei cittadini russi. Come potranno reagire quando, una volta definite delle condizioni soddisfacenti (per la Russia ovviamente), il regime di Putin potrà dire di aver ‘denazificato’ buona parte dell’Ucraina sulla scorta di un riconoscimento internazionale e con il conforto di un illusorio ritorno alla “normalità”?

Difficile dare una risposta valida per tutti, meno difficile immaginare le condizioni nelle quali si troveranno quelli che hanno deciso che è possibile, anzi necessario, rimanere in Russia per continuare a opporsi al regime. Si prenda l’oppositore politico Ilya Yashin, già consigliere di uno dei distretti municipali di Mosca. Potrà continuare a rivendicare la bontà della scelta di restare in Russia per dimostrare che c’è chi resiste, come ha scritto dopo il suo arresto sul suo canale Telegram lo scorso 26 luglio, nonostante fosse ben consapevole che il processo intentato ai suoi danni per aver condannato la guerra in Ucraina potrà concludersi con una condanna a 10 anni? È lecito dubitarne. 

In quello stesso post Ilya Yashin ha scritto, infatti, che essendo costretto ad ascoltare “Radio Russia”, accesa nella sua cella a partire dalle 6 del mattino, si sente come il protagonista di «Arancia Meccanica», costretto a vedere film violenti con gli occhi tenuti aperti da dei morsetti. E a questo riguardo, pensando al fatto che a questo trattamento sono sottoposti in qualche modo milioni di suoi cittadini, ha aggiunto che le Nazioni Unite dovrebbero riconoscere l’ascolto forzato di quel tipo di trasmissioni come una forma di tortura. Se come Istituzioni, come Occidente libero, accogliessimo l’idea che ci sono delle condizioni che è possibile accettare, che c’è qualcosa che può essere sacrificato per porre fine all’attuale situazione, non potremmo aspettarci che uno, mille, centinaia di migliaia di Ilya Yashin scrivano: “Anche ora, seduto in una cella con la minaccia di 10 anni di carcere, mi rendo conto che la decisione di rimanere in Russia è stata quella giusta. Una decisione molto difficile, ma giusta perché toglie a Putin la sua principale carta vincente (…) sul fatto che tutti noi scapperemo al primo segno di difficoltà”. Tutto ciò potendo confidare, anche in quelle condizioni, nel fatto che “la gente vede (…) questo rende le nostre parole più pesanti e le nostre argomentazioni più forti. Ma la cosa principale è che ci lascia la possibilità di riconquistare la nostra patria”. E conclude: “dopo tutto, chi vince non è quello che è più forte in questo momento, ma quello che è pronto ad andare fino in fondo”. 

Il racconto della sua detenzione via Telegram è un invito a non fermarsi all’indignazione, ma a fare in modo che “nel fondo” che è pronto a raggiungere, Ilya Yashin – e con lui i suoi concittadini russi – trovi i mezzi e il sostegno necessari affinché giunga presto il momento nel quale gli oppositori saranno più forti del regime di Putin. Se l’Occidente non si dichiara pronto ad andare fino in fondo si consegnerà una parte della popolazione ucraina a dover rinunciare a vivere in uno Stato di diritto che si è impegnato a rispettare le regole dell’Unione Europea, e si indurrà Ilya Yashin e quanti sono solidali con lui a ritenere che pur essendo stati disposti ad andare “fino in fondo” non hanno trovato, neanche questa volta, chi è disposto ad aiutarli con la determinazione necessaria. Anche per questo la soluzione del conflitto passa attraverso la tutela dell’integrità dell’Ucraina, la piena affermazione dei diritti umani fondamentali, al di qua e al di là dei confini tra l’Ucraina e la Russia, e l’incriminazione e la messa al bando del regime di Putin che nel doppio ruolo di Stato aggressore e membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha la responsabilità – come ha osservato Bank Ki Moon – di sabotare l’applicazione, già farraginosa, delle regole poste a tutela dell’ordine internazionale.