“Appare scandalosamente chiaro che nel nostro Paese non sia contemplato il diritto a morire con dignità per i pazienti che ne fanno richiesta. Ne è testimonianza la dura lettera del tetraplegico Mario che è stata pubblicata oggi sul quotidiano La Stampa”, lo dichiara in una nota Massimiliano Iervolino, segretario di Radicali Italiani.
“Mario denuncia una vera propria farsa perché la sua richiesta di suicidio assistito, sebbene sia stata accolta dalla Asl Marche e sostenuta anche da vari ministri, dopo ben 16 mesi di attesa è ancora bloccata sull’incapacità di decidere quale farmaco usare.
La legittima richiesta di Mario si è trasformata in una crudele corsa ad ostacoli sulla sua pelle e sul suo corpo di malato che in questi mesi ha speso tutte le sue risorse per essere ascoltato. Come è possibile accettare tutto ciò? È disumano questo ennesimo balletto delle responsabilità. Così come è indifendibile l’immobilismo delle istituzioni che conosciamo bene rispetto al tema dell’eutanasia. Proprio ieri cadeva l’anniversario della morte di Piergiorgio Welby quindici anni fa.
Quella del diritto a una morte dignitosa è una battaglia che portiamo avanti da decenni. Abbiamo raccolto firme per una proposta di legge che non è mai stata discussa e ci è voluta la disobbedienza civile di Marco Cappato anche nella vicenda di Dj Fabo perché il Parlamento prendesse in considerazione un diritto su cui la Corte costituzionale aveva già deliberato.
Ora la discussione sul testo della legge per il suicidio assistito, peraltro limitativo rispetto alle tutele e gli obblighi minimi già individuati dalla Consulta, è stata rimandata a data da destinarsi. Resta un’ultima speranza, come l’ha definita Mina Welby: il 15 febbraio la Corte costituzionale discuterà dell’ammissibilità del quesito che depenalizzerebbe in taluni casi l’omicidio del consenziente; il referendum è l’unico strumento per far progredire il Paese verso il pieno riconoscimento e rispetto dell’autodeterminazione individuale.
L’unica speranza per Mario e per tutte le persone che reclamano il loro diritto alla dignità”, conclude.