Transizione verde impossibile senza dialogo

articolo di Massimiliano Iervolino pubblicato su Il Riformista del 30 settembre 2021

Il Piano italiano approvato dall’Europa prevede la nascita di numerosi impianti fotovoltaici, eolici, per la gestione dei rifiuti e delle acque. Ma senza un nuovo patto tra cittadini e istituzioni, realizzarlo sarà proibitivo perché tutto sarà contestato e bloccato

Si fa un gran parlare di transizione ecologica, soprattutto in Italia. Dal nucleare al gas, passando per le fonti rinnovabili ai sistemi di cattura dell’anidride carbonica, fino alle accuse trasversali di chi si sente più ambientalista degli altri.

Che piaccia o meno, l’Italia ha un Piano approvato dall’Europa e finanziato fino al 2026. La sua attuazione è tutt’altro che scontata soprattutto per due ordini di motivi: la burocrazia e il rapporto tra cittadino e istituzioni.

Il Piano italiano prevede la costruzione di numerosi impianti fotovoltaici, eolici, per la gestione dei rifiuti e la depurazione delle acque. La questione burocratica è centrale: bisogna coniugare le giuste richieste degli imprenditori di avere norme chiare per tempi certi e brevi, ai rischi denunciati dalla Dia di infiltrazioni della criminalità organizzata interessata ai miliardi che arrivano dall’Europa.

Così come è centrale la questione democratica: senza un nuovo patto tra cittadini ed istituzioni il Pnrr è a rischio. Questo ultimo importante punto viene costantemente dimenticato da chi chiede la transizione ecologica.

Entro il 2030 dobbiamo costruire impianti rinnovabili per un ammontare totale di 70 GW, diminuire il deficit impiantistico delle regioni del centro Sud per la gestione dei rifiuti e ammodernare ovvero realizzare i depuratori necessari a circa il 30% dei comuni italiani sotto procedura di infrazione.

Ecco, se non facciamo tutto questo diventa difficile per il nostro Paese rispettare gli accordi di Parigi. Si pensi solo che dietro alla voce rinnovabili passa la mobilità elettrica, la riconversione delle industrie hard to abate come l’ex-Ilva di Taranto e la produzione di idrogeno verde. Si pensi poi all’importanza che riveste la costruzione di impianti per la gestione dei rifiuti e delle acque reflue.

A oggi, nel silenzio generale, paghiamo la loro inadeguatezza con sanzioni europee che ammontano a centinaia di milioni di euro. Qui il nodo tra danno ambientale e danno economico è palese. Senza gli impianti non esiste transizione ecologica. È questo il punto.

Nell’intervista all’Espresso il ministro Cingolani dice: «La sindrome Nimby a mio parere ha una sola ragione per esistere: la ripetuta disonestà che i cittadini hanno visto negli ultimi decenni, tanto da sviluppare una sfiducia a priori nei confronti delle istituzioni».

Questa sfiducia dei cittadini verso la politica viene da lontano. In campo ambientale lo shock c’è stato tra gli anni novanta e duemila con la crisi dei rifiuti in Campania. Da quel momento in poi nulla è stato come prima.

Oggi, proprio nel settore dei rifiuti, siamo arrivati al paradosso che si contestano addirittura le costruzioni di impianti di compostaggio. Una follia. Ebbene, per questo bisogna ripartire dalla questione democrazia e dal rapporto territorio/istituzioni.

Senza un reale coinvolgimento dei cittadini e senza una totale trasparenza delle istituzioni, qualsiasi installazione impiantistica verrà contestata e bloccata.

Così addio alla transizione ecologica e conseguentemente ai fondi europei del Pnrr. Il rischio è elevatissimo, per evitarlo c’è bisogno di essere credibili. Bisogna iniziare a parlarne e a trovare le giuste soluzioni. Radicali italiani la vive come un’urgenza, gli altri?