Articolo di Francesco Merlo su Repubblica del 19 maggio 2021
Cinque anni fa se ne andava il leader dei Radicali. Un personaggio rimosso dalla sinistra. Anche se ne incarna tutti i temi attuali
Molto più di una cancel culture la sinistra italiana ha bisogno di una glorify culture e non certo per chiedere scusa a Marco Pannella, che sarebbe un indulgere al vittimismo, ma per elevarlo ad archetipo italiano della libertà, accanto a Gramsci e a Salvemini, che sono gli archetipi del pensiero, e a Garibaldi, che è l’archetipo dell’uomo d’azione.
E invece da quando la sinistra ha mandato in soffitta marxismo e comunismo ed è diventata liberale, occidentale, atlantista, europeista, libertaria, divorzista, abortista, antiproibizionista, persino antistatalista e referendaria, da quando la sinistra ha scoperto la civiltà dei diritti individuali, la libertà sessuale e il fine vita, lo ius soli e la legge Zan, la giustizia giusta, l’inciviltà dell’ergastolo, le ragioni di Israele… nessun ex comunista o postcomunista ha mai confessato, mentre se ne appropria, che questo è il pensiero di Marco Pannella, che questa è la sinistra di Pannella.
Eppure hanno ristrutturato “radicalmente” le loro biblioteche scompigliando gli scaffali, Hanna Arendt al posto di Stato e rivoluzione, via Marcuse e dentro Popper, via le opere complete di Togliatti e dentro i fratelli Rosselli che i comunisti di allora bollavano come “social-fascisti”. E, invece di Marx ci sono l’antimonopolista Ernesto Rossi e Filippo Turati di cui Togliatti aveva scritto che “fu tra i più disonesti dei capi riformisti, tra i più corrotti dal parlamentarismo e dall’opportunismo”.
Nonostante si siano appropriati del Pantheon radicale, non c’è insomma la verità riparatrice in tutte le cantilenanti rievocazioni retoriche del “profeta Pannella”, e nel moltiplicarsi di aneddoti incontrollabili sul “Mangiafuoco imbavagliato”. Non fatevi ingannare dai toni: sono pietre tombali che sigillano un sarcofago, per nascondere che di nuovo “un cadavere vivente” ingombra la storia italiana. Da Matteotti a Gramsci e a Gentile, da Mussolini a Feltrinelli, da Moro a Tortora, da Berlinguer a Craxi, in Italia bisogna morire per essere vivi. Ebbene, Marco Pannella, che è morto a 86 anni il 19 maggio del 2016, è il più disprezzato avversario che oggi la sinistra si ritrova vivo senza averlo ancora risarcito.
E infatti se oggi chiedete agli uomini del Partito democratico di quali autori è fatta la loro biblioteca, da quelli che vengono dalla tradizione comunista come Nicola Zingaretti, a quelli che vengono dalla tradizione cattolica come Enrico Letta e Dario Franceschini, dai padri nobili ai figli degeneri, compresi Veltroni e D’Alema, tutti, ma proprio tutti, citeranno i giganti del pensiero liberale, Isaiah Berlin e Piero Gobetti e Altiero Spinelli, e non più Gorkij ma Silone, e invece di Rosa Luxemburg e Bertolt Brecht, Ionesco, Beckett e Arthur Koestler, insomma non più i funamboli del materialismo dialettico, ma gli innamorati del mal di vivere e dello sradicamento, tutti figli della genialità anticomunista di Albert Camus contro Jean-Paul Sartre il cui filo rosso era: “Da questo non tornerò più indietro: un anticomunista è un cane”.
Marco Pannella era un cane, “il servo del capitale”, “gratta gratta da un radicale viene sempre fuori un fascista”. Se avessero potuto, i comunisti lo avrebbero certamente “cancellato”. Non sopportavano che usasse la parola “compagno” che mai Marco abbandonò, perché ne amava l’origine, “cum panis”, la divisione del pane che rimanda a tutte le sue invasioni di campo, anche quello cristiano. Pannella fu anticlericale in nome della religiosità – “i cattolici si sono dimenticati di essere cristiani” – come fu anticomunista in nome degli oppressi e della lotta di classe.
In realtà Pannella era molto di più. Credeva che il senso più profondo dell’uguaglianza tra gli uomini fosse una religione laica: non la lotta di classe era il motore della storia ma “l’idea dell’amore come armonia con il mondo”. E qui il liberale si faceva appunto cristiano, buddhista, gandhiano…, si imbrogliava con tutte le religioni, “meticcio di Dio”, e offriva alla sinistra le sue intuizioni come ossi da rosicchiare: la partitocrazia, il regime, l’ammucchiata, il palazzo, il diritto alla vita e la vita del diritto, il digiuno, il bavaglio, l’ostruzionismo, la giustizia giusta, il garantismo, il partito transnazionale e trans partitico, lo sciopero della sete praticato come un pericolo mortale: bastava che il Parlamento non trovasse l’accordo su due giudici da eleggere alla Corte costituzionale e Pannella smetteva di bere. “Signor sindaco, colleghi ladri” fu il suo incipit, nell’aprile del 1984, al Consiglio comunale di Napoli. Sempre trovava lo slogan geniale: “No Taliban no Vatican” contro il fanatismo e il clericalismo; “meglio le luci rosse dei fondi neri”, quando candidò Cicciolina; “la libertà è terapeutica” contro i manicomi; “o lo scegli o lo sciogli” quando lanciò l’appello per l’iscrizione al partito.
“Non ha un’ideologia” mi disse Umberto Eco che aveva provato a scriverne la biografia. Pensavo fosse una battuta, ma Pannella confermò. E pensate alla sua modernità: “È vero. Non credo nelle ideologie codificate. L’ideologia te la fai tu, con quello che ti capita, anche a casa”.
“Dimmi in due parole – gli chiesi – cosa ti ha diviso dai comunisti, non da Stalin e neppure da Gorbaciov, ma dai comunisti italiani”. “In due parole? Non siamo mai stati dalla stessa parte del mondo: dal 1947 e sino alla fine dell’Unione sovietica, se ci fosse stata una guerra io sarei stato con gli americani; i comunisti, tutti i comunisti del mondo, sarebbero stati con i sovietici, magari male, magari soffrendo”.
E invece, da vecchio, raccontava che “da vecchi i compagni comunisti si scoprivano radicali”. E citava Bordiga e Cossutta, “che in periodi molto lontani mi hanno voluto bene, mi venivano a trovare in via di Torre Argentina. E poi Vittorini, Pasolini, e anche – diceva – Giorgio Napolitano”. Ma secondo lui tutti i vecchi “si scoprivano” radicali: Tortora, Moravia, Spinelli, Sciascia….
Sicuramente per Sciascia fu una specie di coming out. Di quella mattina di fine aprile del 1979 conservo una foto con Sciascia e Pannella nella stanza della casa editrice Sellerio. A Pannella che gli propose la candidatura, Sciascia rispose: “Non sapevo che saresti venuto, ma quando l’ho saputo ho capito che ti stavo aspettando”. E Modugno? “Al congresso del 1987 Mimmo era presidente del partito e, accanto a Bruno Zevi e a me, riuscì ad alzarsi dalla sedia a rotelle e a cantare Volare…. E volare è la più bella maniera di invecchiare”.