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Sull’ipotesi di promuovere dei referendum, nazionali o regionali, nella primavera del 2007

Mi è stato richiesto un parere sull’ipotesi di riproporre referendum nazionali, e inoltre di proporre referendum regionali.

Stante la ristrettezza dei tempi, è possibile esprimere soltanto un giudizio di massima, dovendo tra l’altro un esame adeguatamente approfondito essere preceduto dall’individuazione di temi specifici.

Occorre innanzitutto premettere che la nuova ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni, realizzata con la riforma del 2001 del Titolo V della Costituzione, ha reso molto più tortuosa la strada referendaria.

In primo luogo, infatti la normativa nazionale deve, in materia concorrente, dettare tendenzialmente normativa di principio, essendo compito della legislazione regionale normare gli aspetti di dettaglio.

Un referendum abrogativo nazionale in materia di legislazione concorrente può pertanto avere limitate possibilità di intervento. Lo stesso può dirsi, a maggior ragione, per un referendum regionale, che difficilmente potrebbe comunque riuscire a colpire il nucleo di una legislazione concorrente, essendo questo di norma contenuto nella normativa statale (l’eventuale inclusione in un quesito referendario regionale di una norma di legge riproduttiva di una disposizione di legge nazionale ne comporterebbe di per sé l’inammissibilità).

La situazione, tra l’altro, si complica se la materia è oggetto di trattato internazionale o di normativa comunitaria: infatti, in alcuni casi, tale circostanza ha, di per sé, compromesso il giudizio di ammissibilità del referendum (concordato, droga, normativa sul lavoro, PMA), pur essendo in linea di principio possibile intervenire sulla normativa di dettaglio attuativa dell’impegno internazionale (droga, PMA).

Ciò brevemente premesso, passo a esaminare alcune materie tradizionalmente oggetto di iniziativa referendaria radicale nazionale.

1. LEGGI ELETTORALI CAMERA E SENATO

La legge 21 dicembre 2005, n. 270, ha modificato le leggi elettorali di Camera e Senato non soltanto a) abolendo i collegi uninominali, ma anche b) concentrando in capo all’ufficio centrale nazionale l’applicazione dei meccanismi di trasformazione dei voti in seggi.

Ciò comporta due rilevanti conseguenze:

  1. da un lato, l’avvenuta soppressione dei collegi uninominali preclude, sia per la Camera che per il Senato, ipotesi di referendum cd. “manipolativi” del tipo di quello votato nel 1999 (inteso ad abolire la quota proporzionale e a far espandere contestualmente il principio uninominale maggioritario);
  2. dall’altro, la concentrazione presso l’ufficio centrale nazionale delle operazioni di attribuzione dei seggi per l’elezione della Camera esclude che si possa esperire un referendum per trasformare il sistema elettorale in senso “spagnolo” (proporzionale di circoscrizione, senza recupero nazionale e senza premio di maggioranza).

Com’è noto, infatti, in materia di leggi per l’elezione di organi costituzionali o di rilievo costituzionale, il referendum abrogativo è ammesso soltanto a condizione che ne risulti una normativa cd. “autoapplicativa”, nel senso che la normativa restante deve poter garantire, in linea meramente teorica, l’elezione di tutti i componenti dell’organo in questione.

In mancanza di materiale normativo opportunamente utilizzabile, restano ben poche possibilità di referendum.

I proposti referendum Segni-Guzzetta, che mirano ad attribuire il premio di maggioranza nazionale (alla Camera) e regionale (al Senato) non più alla coalizione prima classificata ma al primo partito (analogamente a un quesito predisposto quasi dieci anni fa da me e Marco Nardinocchi sulla legge elettorale regionale), rappresentano purtroppo forse l’unica ipotesi percorribile di referendum, con la normativa vigente.

E’ del resto vero che i referendum Segni-Guzzetta sono forse destinati a restare allo stadio dell’annuncio.

Annuncio per annuncio, non vedo perché non si possa (politicamente) proporre dei referendum – uno per il Senato e uno per la Camera – per sopprimere gli attuali meccanismi elettorali e richiedere il ritorno al sistema uninominale.

Se infatti è poco verosimile che la Corte costituzionale condivida la teoria dell’automatica reviviscenza della precedente normativa a seguito di intervento referendario abrogativo, è ancor più inverosimile che un qualsiasi referendum, superato lo scoglio del giudizio di ammissibilità, possa superare quello del quorum di validità.

2. MATERIE PRECLUSE AL REFERENDUM

        Si tratta certamente di:

  • meccanismo del sostituto d’imposta;
  • obbligo di iscrizione al SSN;
  • monopolio INAIL;
  • finanziamento pubblico dei patronati;
  • smilitarizzazione guardia di finanza;
  • pubblicità RAI;
  • aborto.

Si tratta, probabilmente, di:

  • legge elettorale per le regioni ordinarie che non l’abbiano cambiata (in parte la Tatarella è costituzionalizzata, e comunque è dubbio che la legge nazionale possa ancora intervenire in materia);
  • termini processuali.

3. MATERIE REFERENDABILI (PREVIA VERIFICA DELLA NORMATIVA)

        Si tratta, in linea di principio, di:

  • caccia (art. 842, commi primo e secondo);
  • caccia (delega alle regioni per eludere la normativa comunitaria sulle specie protette);
  • droga (attendo peraltro da circa due anni che un tizio mi mandi una memoria sulla possibilità di abrogare anche parti della legge oggetto di trattato internazionale);
  • commercio;
  • golden share (ma sta già intervenendo l’Unione europea, se non sbaglio);
  • incarichi extraprofessionali ai magistrati;
  • carriere/funzioni dei magistrati;
  • ordine dei giornalisti;
  • finanziamento pubblico ai partiti;
  • mercato del lavoro (ma dubito che intervenendo sulla legge cd. Biagi si possa introdurre le riforme dimenticate, come per esempio, un meccanismo generalizzato di assistenza in caso di disoccupazione);
  • legge elettorale CSM;
  • legge elettorale comuni e province;
  • regime transitorio (e quindi definitivo) sull’espianto degli organi nei confronti dei dissenzienti.

Milano, 19 gennaio 2007

Emilio Colombo