PROPOSTE RADICALI SUI COSTI DELLA POLITICA


Relazione a cura di Antonella Casu, Sergio D’Elia e Maurizio Turco
I. Ordine del Giorno sui costi della politica, approvato dalla Camera dei Deputati
Il 21 dicembre 2006, la Camera dei Deputati ha approvato un ordine del giorno sulla finanziaria presentato da Sergio D’Elia (Rosa nel Pugno) e Luciano Pettinari (DS-Ulivo) che impegna il Governo a porre rimedio ad alcune previsioni contenute nella finanziaria che incidono particolarmente sui costi della politica, in particolare:
• la soppressione della norma sulla prescrizione nei giudizi davanti alla Corte dei conti [già effettuata con decreto ad hoc del Governo a fine dicembre];
• soppressione di previsioni di aumenti e quote variabili, che portano a superare l’importo di 500.000 euro annui per gli amministratori di società partecipate;
• soppressione dell’Alta Commissione di studio e contestuale istituzione della Commissione tecnica per la finanza pubblica;
• soppressione delle scuole e istituti inquadrati nei rispettivi ministeri, con l’istituzione dell’Agenzia per la formazione dei dirigenti e dipendenti delle amministrazioni pubbliche;
• tetto di 250.000 euro degli emolumenti riferito al primo presidente Corte di cassazione, valutando l’opportunità di prevedere che non sia limitato ai soli dirigenti a contratto esterno, ma sia valido anche per tutti gli altri dirigenti e manager di Stato;
voli transcontinentali di prima classe per dirigenti di prima fascia;
• consiglieri e referendari medici in servizio presso l’Ufficio medico della Presidenza del Consiglio, valutando l’opportunità di escludere la previsione che tali figure possano svolgere attività professionali sanitarie esterne ovvero prevedere che la Presidenza del Consiglio si avvalga di prestazioni e servizi sanitari esterni;
• soppressione dell’Istituto per la Montagna e contestuale istituzione dell’Ente italiano per la montagna (sopprimere l’una e l’altro);
• a dare immediata esecuzione alle norme della legge finanziaria per cui i soggetti pubblici sono tenuti a fornire ad una banca dati presso il Dipartimento della funzione pubblica una completa informazione, finora assai difficilmente reperibile, sulle società e i consorzi cui partecipano.

II. Proposta di legge per la soppressione di enti inutili, e per la riduzione degli sprechi e dei costi impropri della politica, delle istituzioni, delle pubbliche amministrazioni

La proposta di legge sui costi della politica che qui presentiamo, nasce dalle analisi contenute nel saggio “Il costo della democrazia” di Cesare Salvi e Massimo Villone e da un disegno di legge che loro stessi hanno depositato al Senato.
Si tratta di una proposta che tocca solo alcune isole dei costi della politica nel mare magnum di sprechi, privilegi e spese ingiustificabili che rimandano direttamente all’interesse dei partiti di acquisire nuove clientele e consolidare la rete di consenso elettorale.
Con questa proposta si pone mano anche alla modifica della legge approvata all’inizio del 2006 sui cosiddetti “rimborsi elettorali”, l’ultima odiosa versione del finanziamento pubblico ai partiti contro cui i radicali combattono dal 1977 e hanno vinto, nel 1993, con il 90,3% dei voti degli italiani, un referendum poi tradito con leggi truffa approvate di notte dal “partito unico” del finanziamento pubblico, che ha sempre unito tutti in Parlamento, destra, centro e sinistra.
Ma l’universo dei tagli possibili e opportuni su aree di inaccettabile spreco e di finanziamento pubblico indiretto dei partiti, è assai più vasto. Perchè se il finanziamento pubblico ai partiti, tramite l’espediente dei rimborsi elettorali, costa all’erario poco più di 200 milioni di euro all’anno, l’ammontare totale dei costi indiretti della politica può essere stimato dai tre ai quattro miliardi di euro, un quarto di una legge finanziaria ordinaria. Con questi soldi pubblici si pagano gettoni, stipendi, emolumenti a un esercito di amministratori locali, manager pubblici, consiglieri e consulenti di istituti, scuole, centri, autorità, commissioni, enti, agenzie, comunità e società miste, non certo – salvo eccezioni – per la loro capacità professionale, le prove offerte sul campo, i risultati conseguiti o la esigenza effettiva per la vita pubblica delle loro prestazioni, ma solo grazie a sponsorizzazioni politiche e per consolidare ed estendere la rete di potere clientelare dei partiti.
I costi della politica, oltre a incidere pesantemente sulla struttura della spesa pubblica, costituiscono un fattore decisivo di blocco del sistema Italia, della sua competitività interna e della sua capacità di attrarre investimenti esterni.
L’obiettivo di liberalizzare e modernizzare il paese non può essere perseguito (soltanto) attraverso i tagli e gli equilibri di bilancio, ma cercando pulizia amministrativa, efficienza, competitività di sistema. Attraverso la riduzione dei costi della politica è possibile anche liberare risorse per il rilancio di obiettivi fondamentali dell’azione di governo come ad esempio l’università e la ricerca, il finanziamento degli ammortizzatori sociali, e per una migliore cura di funzioni primarie dello Stato, come la sicurezza e, soprattutto, la giustizia che è divenuta la prima e prioritaria questione sociale del nostro paese per la quale l’Italia è primatista di condanne in Europa da parte della Corte di Strasburgo.
Qui di seguito si indicano i punti più significativi della proposta di legge contro gli sprechi e i costi impropri della politica il cui articolato può essere definito, anche a seguito del dibattito di questo Comitato Nazionale di Radicali Italiani, per essere presentato nei prossimi giorni alla Camera.

La proposta si articola in quattro capitoli principali:

  1. Capo I “Norme su retribuzioni, emolumenti, pubbliche amministrazioni, responsabilità degli amministratori, partecipazione a società”;
  2. Capo II “Norme sugli enti locali, e norme di principio sul coordinamento della finanza pubblica, per la retribuzione degli eletti e le società miste”;
  3. Capo III “Norme per la soppressione di Enti ed Autorità”;
  4. Capo IV “Norme sul finanziamento dei partiti”.

1) Retribuzioni ed emolumenti a carico di soggetti pubblici.

Con l’articolo 1, si propone l’introduzione di un tetto generale, riferito alla retribuzione del primo presidente della Corte di cassazione, per tutti gli incarichi pubblici, ivi compresi gli amministratori di società a capitale totalmente o parzialmente pubblico e gli eletti [la finanziaria lo ha già introdotto per altri incarichi pubblici quali dirigenti, consulenti ma con delle eccezioni, membri di commissione o di collegi] ai quali sono invece oggi riconosciuti emolumenti e benefits paragonabili – quando non superiori – ai corrispondenti livelli del settore privato. Tale scelta non ha carattere punitivo nei confronti del management pubblico. Si giustifica soprattutto per calmierare un mercato del tutto fittizio, poichè non esiste in realtà competizione tra dirigenza pubblica e privata. Nessuna azienda privata – a meno che non fosse soggetta a insostenibili pressioni politiche – offrirebbe posizioni di rilievo a qualunque manager pubblico, salvo forse poche lodevoli eccezioni. Il management pubblico vive in un recinto protetto, e opera su un percorso determinato non dalla capacità professionale o dai risultati conseguiti, ma dalle sponsorizzazioni partitiche. E il manager pubblico che lascia l’incarico normalmente passa ad altra posizione di management pubblico, senza che abbia alcun rilievo la prova concretamente offerta sul campo.
Si propone infine che detti emolumenti siano preventivamente resi pubblici.

Con l’articolo 2, si impedisce che gravino a carico delle amministrazioni pubbliche gli oneri derivanti dalla stipula di polizze assicurative per i danni eventualmente arrecati all’ente dagli amministratori, i quali saranno liberi di assicurarsi rispetto al loro operato, ma a loro spese.

L’articolo 3 ripristina la responsabilità per colpa lieve davanti alla Corte dei Conti.
Tale forma di responsabilità diretta degli amministratori pubblici è stata soppressa, tra mille polemiche, con la legge del 1994 che, unitamente alla rimozione dei limiti e dei controlli sulle attività delle pubbliche amministrazioni, ha favorito lo smarrimento crescente nell’azione politico-amministrativa dei necessari criteri di rigore e correttezza.

L’articolo 4 definisce i criteri per la cessazione della partecipazione statale nella società Sviluppo Italia e nelle società da questa controllate o partecipate, superando così quanto previsto dall’ultima finanziaria che ne delinea invece un riassetto a partire dal cambio di denominazione.
Sviluppo Italia è forse uno dei casi più eclatanti di spreco di denaro pubblico, anche attraverso il moltiplicarsi delle società controllate e partecipate. Il fallimento della missione originaria è evidente, come pure è indiscutibile la torsione clientelare determinatasi nel tempo. Nonostante l’impegno di ingenti risorse pubbliche, nessuno degli obiettivi che si volevano raggiungere si mostra pienamente realizzato. La fine della partecipazione dello Stato assume il senso di un messaggio fortemente simbolico, e segnala al tempo stesso la necessità di cambiare rotta per sostenere lo sviluppo, in particolare nelle aree economicamente svantaggiate del nostro paese.

2) Norme sugli enti locali e norme di principio sul coordinamento della finanza pubblica, per la retribuzione degli eletti e le società miste

All’Articolo 5, con le modifiche all’art. 82 del D.P.R. 267/00, si abrogano le norme oggi previste sul gettone di presenza per la partecipazione a consigli e commissioni per i consiglieri comunali, provinciali, circoscrizionali e delle comunità montane (comma 2), nonché la possibilità attraverso gli statuti e i regolamenti degli enti di prevedere conversioni dei gettoni di presenza in indennità di funzione (comma 4), relativi adeguamenti ISTAT (comma 10), nonché facoltà di incrementare o diminuire le indennità di funzione e i gettoni di presenza sulla base di delibere di giunta o di consiglio (comma 11).
Con l’abrogazione del comma 1 dell’art. 85 del D.P.R. 267/00 cessa l’equiparazione di trattamento dei rappresentanti degli enti locali nelle associazioni internazionali, nazionali e regionali tra enti locali, a coloro che ricoprono funzioni elettive, e con l’abrogazione dell’art. 87 tali equiparazioni cessano anche per i membri dei consigli di amministrazione delle aziende speciali anche consortili.
Il sistema delle autonomie locali costituisce la fonte principale di spesa pubblica ma anche il luogo dove gli sprechi, i privilegi e i costi della politica assumono livelli giganteschi: si tratta di costi indiretti e impropri, ma sono espressione diretta e propria del potere dei partiti sulle istituzioni ed economie locali.
La protesta contro la legge finanziaria da parte degli amministratori regionali e locali è stata particolarmente accesa. E’ comprensibile che chi amministra non gradisce trovarsi nella necessità di aumentare la pressione tributaria locale. Ma la protesta sarebbe stata ben più credibile se fosse emerso un significativo ed efficace impegno volto a riportare ordine, rigore e correttezza nell’azione politico-amministrativa.
Vengono quindi stabiliti i criteri con cui si da la delega al Governo per emanare decreti che regolamentino le indennità e i gettoni di presenza per i chiamati a partecipare alle assemblee elettive:
• gettone di presenza o indennità mensile determinati in misura differenziata per classi riferite alla popolazione;
• gettone corrisposto per ciascun giorno di seduta, e solo per le sedute che siano validamente tenute;
• gettone corrisposto solo ai componenti che abbiano partecipano ad almeno un terzo delle votazioni medesime (come avviene alla Camera dei Deputati);
• non possono essere cumulati più gettoni per una stessa giornata di riunione;
• non possono essere cumulati più gettoni per la partecipazione nelle medesima giornata a più assemblee elettive, o organi rappresentativi;
• gettoni e indennità sottoposti a decurtazioni progressive, fino alla soppressione, qualora gli enti non conseguano il pareggio di bilancio, o si trovino nella condizione di dissesto ai sensi della legislazione vigente, o non osservino limiti e prescrizioni volti a garantire gli equilibri della finanza pubblica.

L’articolo 6 è volto a limitare la costituzione di società miste a partecipazione pubblico-privato da parte di regioni ed enti locali per le sole attività strettamente strumentali alla vita dell’ente o comunque necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali.
Negli ultimi anni le società miste hanno registrato una straordinaria fortuna, soprattutto nell’ambito del governo regionale e locale. Dall’utile apporto delle risorse e del know-how dei privati all’esercizio di funzioni pubbliche, si è passati a una forma sofisticata di gestione clientelare e partitocratica del consenso. Dalla cura dell’interesse pubblico attraverso l’organizzazione e gli uffici dell’ente locale, eventualmente ricorrendo al mercato per quanto necessario attraverso normali meccanismi di gara, si è passati all’istituzione, invece, di società miste ad hoc.
Questo implica, da un lato, una utilizzazione meno efficiente delle risorse, una parte delle quali vengono dirottate sui costi della struttura da istituire; dall’altro, la gestione clientelare del potere politico-amministrativo, perchè gli organi di governo delle società miste – e i posti di lavoro – sono decisi in base a logiche di parrocchia partitica. All’occorrenza, si inventa una nuova società, per accontentare tutti i cespugli di una coalizione. E dunque con le risorse pubbliche si apre la via alla creazione di corpose clientele personali in capo a chi è titolare di un potere politico-amministrativo, o comunque è in grado di incidere sull’esercizio di quel potere.

Con l’articolo 7 si propone l’abrogazione della norma con cui le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti possono essere integrate da due componenti designati dal Consiglio regionale, componenti che acquisiscono lo status equiparato a tutti gli effetti, per la durata dell’incarico, a quello dei consiglieri della Corte dei Conti, con oneri finanziari a carico della Regione. L’abrogazione di tale norma consente, oltre ai risparmi di spesa, il superamento dell’ambigua commistione di controllori e controllati.

3) Soppressione di Centri, Istituti, Commissioni, Autorità, Agenzie

Con gli articoli dal n. 8 al n. 17, si propone l’abolizione di varie strutture, il cui costo elevato non corrisponde ad un utile pubblico significativo:
• Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture
• Commissione di vigilanza sui fondi pensione
• Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione (CNIPA)
• Commissione per l’accesso agli atti amministrativi
• Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private
• Istituto per la promozione industriale (IPI)
• Istituto diplomatico, Scuola Superiore dell’amministrazione dell’Interno e Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze
• Commissione tecnica per la finanza pubblica
• Ente italiano per la montagna

Si tratta per lo più di strutture teoricamente riconducibili al modello dell’autorità indipendente rispetto al potere esecutivo, ma che nell’esperienza concreta non hanno risposto alle esigenze di sottrazione alla diretta influenza del decisore politico, della libera concorrenza tra fornitori di beni e servizi e, quindi, di tutela degli interessi del cittadino utente.
Per il Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione (CNIPA), la Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP) e l’Istituto per la promozione industriale (IPI) le funzioni svolte possono utilmente essere riportate alle strutture ministeriali, non risultando evidente un particolare rischio di indebita influenza da parte dell’esecutivo.
Quanto alla Commissione per l’accesso agli atti amministrativi, la tutela della trasparenza non si può utilmente garantire in modo centralizzato da parte di un organo indipendente. Se mai, va favorita una tutela diffusa, assicurando celerità all’intervento del giudice amministrativo in sede locale.
Anche per l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, alle esigenze di controllo in senso proprio possono rispondere le ordinarie strutture, mentre la domanda di legalità in senso stretto deve rimanere affidata alla magistratura.
Per quanto riguarda, invece, l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private (ISVAP), la scelta del modello autorità indipendente teoricamente fondata, non ha trovato riscontro nella comune esperienza.
L’ISVAP è risultato incapace a tutelare gli interessi dell’utenza ad avere tariffe ragionevoli per le assicurazioni nel settore automobilistico, a fronte del formarsi, come è noto, di veri e propri cartelli da parte delle società del settore. Un caso tipico di cattura del controllante da parte degli interessi controllati. Anche se l’ISVAP è finanziata attraverso contributi a carico dei soggetti controllati, il relativo costo grava alla fine comunque sulle tasche dei cittadini-utenti, attraverso la determinazione delle tariffe.
Quindi, si mostra utile la soppressione e il contestuale trasferimento delle relative funzioni all’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Oltre ad evitare superfetazioni e duplicazioni, con il conseguente inevitabile aumento dei costi, si perviene in tal modo alla tutela più efficace degli interessi del cittadino utente.

Il sistema clientelare e partitocratico viene perpetuato e riaggiornato attraverso una versione tutta italiana di spoil system. Con la recente finanziaria sono state introdotte, ad esempio, norme che fittiziamente cancellano strutture per istituirne parallelamente altre. Per un Istituto Nazionale della Montagna che viene soppresso c’è un Ente Italiano per la Montagna che viene istituito. Per un’Alta Commissione di studio che se ne va, arriva contestualmente una Commissione tecnica per la finanza pubblica. Prebende, consulenze e poltrone vengono tagliate da una parte, ma gli impegni, le funzioni, il patrimonio e le dotazioni vengono trasferiti da un’altra parte, con nuove poltrone da riempire e clientele politiche da soddisfare. Si tratta spesso di enti inutili che vanno solo soppressi.
In altri casi, non accade nemmeno che il vecchio scompaia a fronte del “nuovo” che si crea, oltre al nuovo rimane anche il vecchio. E’ il caso della Istituzione dell’Agenzia per la formazione dei dirigenti e dipendenti delle amministrazioni pubbliche (Scuola Nazionale della Pubblica Amministrazione), avvenuta con la legge finanziaria, alla quale sono sopravvissuti le precedenti scuole e istituti inquadrati nei rispettivi ministeri (Istituto diplomatico, Scuola Superiore dell’amministrazione dell’Interno e Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze). Evidentemente, i ministri di riferimento sono stati catturati dagli interessi dicasteriali sottostanti.

Quanto all’Autorità per l’energia elettrica ed il gas, si è soprasseduto in questa fase alla proposta di abrogazione della stessa, in quanto solo alcune delle competenze proprie potrebbero essere automaticamente trasferite all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, per il resto si tratterebbe di trasferire competenze e personale ad altro ente rischiando di appesantirne la struttura burocratica con conseguenti danni sull’efficienza. Nel sistema italiano il vero problema in materia di energia elettrica e gas è riconducibile più a scelte di fondo che non sono alla portata né sono di competenza dell’autorità, come la diversificazione delle fonti, o l’incentivazione delle fonti rinnovabili.

4) Rimborso delle spese per consultazioni elettorali e referendarie
Con l’articolo 18 si propone di ricondurre il finanziamento ai partiti al solo rimborso elettorale, cercando per l’ennesima volta di abrogare il finanziamento pubblico. Oggi, infatti, la normativa vigente (legge n. 157/99 e successive modificazioni) cela sotto la falsa dizione “Norme in materia di rimborso delle spese per le consultazioni elettorali e referendarie” quello che è ridivenuto nel tempo vero e proprio finanziamento pubblico.
Tale legge, che fin dall’inizio era un teorico rimborso elettorale, non avendo alcuna attinenza diretta con le spese effettivamente sostenute per le campagne elettorali, ha subito negli anni successivi al 1999 tutta una serie di modifiche e integrazioni fino al punto che oggi l’ammontare stabilito in base a ciascun risultato elettorale conseguito viene erogato alle liste che ne hanno ottenuto il diritto, ogni anno e fino alla fine della legislatura, anche in caso di scioglimento anticipato (introdotto con la legge 51/2006).
Le modifiche proposte con questo articolo consistono in:
a) Per le consultazioni referendarie, il rimborso previsto spetta anche nel caso di mancato raggiungimento del quorum, ma in misura ridotta del 50%;
b) Per le elezioni politiche, regionali ed europee, il fondo da ripartire fra le liste aventi diritto va determinato sulla base dei partecipanti al voto e non su quella degli iscritti alle liste elettorali;
c) i diversi rimborsi elettorali vengono corrisposti in un’unica soluzione entro tre mesi dalla data del voto;
d) partecipano alla ripartizione del fondo tutte le liste che hanno concorso in quella tornata elettorale; il fondo viene ripartito in base ai risultati elettorali ottenuti da ciascuna lista, ma può essere erogato fino alla concorrenza massima delle spese effettivamente sostenute rilevabili dai consuntivi depositati in base alle leggi vigenti; il rimborso viene decurtato del 50% qualora la lista non abbia ottenuto alcun eletto;
e) si abroga, inoltre, un’altra delle ultime novità introdotte con la legge 51/2006, la cosiddetta “Garanzia patrimoniale” ovvero un fondo costituito trattenendo l’1% dalle erogazioni dei rimborsi elettorali (a partire dal 2006) per il soddisfacimento dei debiti dei partiti o movimenti politici maturati in epoca antecedente l’entrata in vigore della legge. Grazie a questa norma i creditori dei partiti e movimenti politici non possono pretendere direttamente dagli amministratori di partito l’adempimento delle obbligazioni assunte dal partito stesso, se non qualora gli amministratori abbiano agito con dolo o colpa grave.

5) Referendum nazionali e proposte di legge e referendum regionali e locali

Alcune delle proposte su esposte possono anche essere oggetto di referendum abrogativi nazionali e di iniziativa politica sul territorio, attraverso mozioni, proposte di legge e referendum regionali e locali, tenuto conto dei diversi statuti regionali e locali e della fortissima incidenza sui costi della politica delle molteplici amministrazioni, centrali e locali, che insistono sul territorio.