“Noi radicali siamo personalmente coinvolti da questo processo perché con Andrea Rocchelli ha perso la vita il nostro compagno Andrei Mironov, il dissidente russo e militante dei diritti umani con il quale abbiamo condiviso lotte e passione politica.
Alla vigilia del processo d’appello per la loro morte, Mario Calabresi pubblica un servizio di copertina sul ‘Venerdì di Repubblica’ e un podcast dedicato al fotoreporter italiano. Un doveroso ritratto di un professionista che ha perso la vita mentre svolgeva il suo lavoro nell’Ucraina in guerra contro i separatisti filorussi appoggiati da Putin, l’invasore della Crimea.
Purtroppo l’articolo perde l’occasione di esercitare un’altrettanta doverosa obiettività, tocca solo le corde dell’emozione ed emette, così, una sentenza d’appello lanciando qua e là ‘indizi’ di colpevolezza totalmente falsi ma di sicuro effetto” dichiarano Igor Boni e Silvja Manzi, presidente e membro di direzione di Radicali italiani.
“Peggio ancora la copertina del settimanale, che in barba a qualsiasi norma di deontologia professionale e dei principi costituzionali – secondo cui un imputato è innocente fino all’ultimo grado di giudizio – ci dice che ‘un processo ha già stabilito che non è stato un incidente, ma un omicidio. Commesso da un altro ragazzo italiano’ e questo, lo ribadiamo, alla vigilia del processo d’appello. Nell’articolo, tra le varie, gravi, inesattezze riportate, Calabresi afferma che l’unico imputato Vitaly Markiv era ‘in posizione di vedetta […] e che è cosciente che ci sono dei giornalisti’.
Sa Calabresi che la postazione di Markiv distava 1.7 km dalla posizione in cui si trovavano Rocchelli e Mironov? E che da quella distanza anche con un binocolo di precisione era praticamente impossibile individuare l’attività delle persone coinvolte? Probabilmente non può saperlo perché sembra che le sue fonti siano esclusivamente quelle di parte e il pubblico ministero non si è mai recato sul posto per verificare di persona le sue tesi. Calabresi dice che per i suoi ‘detrattori italiani’ Rocchelli ha pagato la colpa di essersi trovato nel posto sbagliato. Non ci sono detrattori italiani di Rocchelli. Anzi. Rocchelli non ‘se l’è andata a cercare’: faceva il suo lavoro (siamo d’accordo, lo faceva ‘maledettamente bene’) e si è recato dove pochi giornalisti hanno il coraggio di recarsi, su un fronte di guerra, per verificare di persona i fatti e farli conoscere.
Così come un pool di giornalisti che da un anno sta conducendo un’inchiesta indipendente, sulla base delle carte processuali. Sono partiti senza pregiudizi o tesi precostituite verificando ogni singolo aspetto dibattuto in aula. Non perché sono dei ‘detrattori’, ma perché, come Rocchelli, sono dei giornalisti e si sono recati sul posto, hanno cercato di intervistare le persone coinvolte, hanno ritrovato testimoni preziosi non individuati dall’accusa, hanno consultato tecnici, cartografi, esperti balistici per ricostruire profili e visibilità reali.
Chi vuole giustizia esercita il dubbio e non si accontenta di una verità di comodo. Noi abbiamo letto le carte e seguito il processo e riteniamo che il primo grado sia stato inquinato dalla propaganda filorussa, come dimostra la sentenza che ne è intrisa nelle motivazioni. Crediamo che un buon giornalismo tenga nella giusta considerazione tutte le tesi, per questo invitiamo Mario Calabresi a un dibattito pubblico, non pro o contro l’innocenza di Markiv, ma sul merito delle tesi utilizzate per condannare un uomo a 24 anni di carcere”.
15 maggio 2020