Caso Sunlight, serve un ripensamento radicale del concetto di responsabilità sociale d’impresa.

Colognola ai Colli, provincia di Verona, giovedì 7 novembre, 78 lavoratori e lavoratrici sono statə licenziatə con una PEC. La multinazionale Sunlight ha deciso di chiudere lo stabilimento produttivo dell’est veronese, non perché non ci fosse lavoro o perché avesse difficoltà finanziarie, ma “semplicemente” per massimizzare il proprio profitto spostando la produzione in Germania.

La vicenda di Sunlight non è un caso isolatobasti pensare al più noto caso del colosso del food delivery Just Eat, che proprio la settimana scorsa ha annunciato l’intenzione di licenziare 50 persone, pari a 1/4 del personale della sede italiana di Milano, per delocalizzare il servizio clienti in Paesi “costi di produzione più bassi e flessibilità oraria maggiormente aderente al modello di business” e delegare all’intelligenza artificiale alcune attività precedentemente svolte dalle persone.

Nulla di nuovo. Tutto legale e tutto normale per una società assuefatta da un sistema di produzione e consumo in cui le persone sono considerate numeri – semplici produttori e consumatori di beni e servizi –, sono svuotate del proprio valore intrinseco, non si vedono riconosciuti bisogni, desideri e vengono castrate della legittima aspirazione ad una vita felice.

Intervenire a supporto dei lavoratori e delle lavoratrici e criticare le operazioni che mirano a massimizzare il profitto delle imprese sulla pelle di chi fino al giorno prima ha contribuito con impegno e professionalità a creare valore e ricchezza, non significa essere nemici della libertà d’impresa, ma semplicemente ricordare che è necessario dare corpo a quanto previsto dall’articolo 41 della Costituzione, che in modo forse un po’ fumoso recita “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.”

Nessuno mette quindi in discussione la libertà d’impresa, ma ci sono dei paletti che devono essere rispettati. La nostra Costituzione indica il principio che ci deve guidare, ma sta alla politica legiferare in modo coerente e non in contrasto con la strada indicata dalla Costituzione, tenendo sempre conto dell’evoluzione della società e della tecnologia.

Se un’impresa è finanziariamente in salute e il lavoro non manca e nonostante questo decide di licenziare per massimizzare il proprio profittosvolge la propria attività in contrasto con l’utilità sociale, recando danno alla libertà e alla dignità delle lavoratrici e dei lavoratori che decide di lasciare a casa.

Oggi viviamo lo strano malinteso secondo cui essere liberali significa garantire la libertà di chi dispone di capitale di disporre del tempo e dell’ingegno di tutti gli altri, assoggettando quest’ultimi alla volontà di quelli che s’è persa l’abitudine di chiamare padroni, negando quindi a chi lavora libertà e dignità. Il liberalismo però nasce da presupposti differenti, ovvero dalla necessità di garantire libertà – anche economica – e dignità a tutte e tutti, contrastando i nobili e i latifondisti, in favore di chi la terra la lavorava.

Oggi i nobili non ci sono più, il potere non è più esercitato per diritto divino, ma le fortissime disuguaglianze permangono. Ci sono pochissimi milionari (l’1% della popolazione) e immense aziende che giocano con la vita, la serenità e la salute fisica e mentale dei/delle comuni mortali.

Come radicali siamo certi che esistano strade che consentono di tenere insieme libertà d’impresa e libertà e dignità delle persone. Agire avendo una visione europea impone di immaginare un mercato europeo del lavoro più uniforme rispetto alla burocrazia e ai costi di produzione. È necessario pensare un nuovo modo di concepire l’impresa, valorizzando l’impegno e responsabilizzando – per esempio attraverso l’azionariato diffuso – tutte le figure che prendono parte ai processi produttivi.

Parlare di responsabilità sociale dell’impresa nel XXI secolo, significa avere ben chiare le criticità sociali e ambientali che abbiamo di fronte, senza scordare che l’innovazione tecnologica giocherà un ruolo fondamentale nel rendere il lavoro del futuro o meno gravoso e più gratificante oppure un verso e proprio inferno in terra. Ciò che accadrà dipende esclusivamente dalla politica.

Servono proposte di rottura, concrete, non ideologiche ma sicuramente idealiste: non bisogna avere paura di dire che una società fortemente diseguale non è una società libera. Non lo è per le persone che vivono di lavoro sottopagato e precario e non lo è nemmeno per le persone più ricche, che si ritroveranno a vivere nella paura di essere derubate o rapinate da chi – non arrivando alla fine del mese – si troverà a dover scegliere tra la povertà estrema e il crimine.

Nell’esprimere quindi massima solidarietà ai lavoratori e alle lavoratrici che Sunlight ha licenziato e alle loro famiglie, invitiamo chiunque avverta l’insostenibilità dei tempi che stiamo vivendo a non restare in silenzio, a far sentire la propria voce, ad iscriversi ad un partito – magari proprio a Radicali Italiani e a partecipare al nostro congresso che si terrà a Torino dal 6 all’8 dicembre -, ad un sindacato o a un’associazione. In poche parole: a partecipare attivamente alla vita politica del Paese.

Mattia Da Re
Comitato Nazionale di Radicali Italiani