Martedì 13 agosto dalle 11:00 alle 13:00 parteciperemo al presidio organizzato da diverse associazioni animaliste davanti all’Ambasciata di Danimarca a Roma, in Piazza Rio de Janeiro, per chiedere la liberazione dell’attivista eco-animalista Paul Watson, arrestato il 21 luglio a Nuuk, in Groenlandia, dalle autorità danesi, su impulso di un mandato d’arresto internazionale emanato dal Giappone. Watson rischia l’estradizione in Giappone e una condanna fino a 15 anni, per il semplice fatto di essersi opposto alla caccia illegale alle balene.
Non chiediamo la sua liberazione per semplice affinità politica e condivisione delle sue battaglie, ma per una questione di giustizia e difesa della democrazia. L’arresto del capitano Watson – a quasi 15 anni dai fatti che gli vengono contestati – è un atto intimidatorio nei confronti di tutte le attiviste e gli attivisti eco-animalisti che sempre più spesso lottano con gli strumenti della nonviolenza non solo per denunciare l’indifferenza delle istituzioni di fronte ad emergenze e urgenze di portata globale, ma anche per contrastare con la disobbedienza civile e l’azione diretta tutte quelle condotte che possono avere conseguenze irreparabili per il Pianeta e per tutti i suoi abitanti umani e nonumani.
Il capitano Watson, con i suoi 73 anni e con 50 anni di attivismo ecoanimalista alle spalle, è la dimostrazione vivente della forza dirompente della nonviolenza. Con le sue azioni di disturbo, solo nel periodo 2005 – 2017, ha salvato oltre 6.000 balene dalle navi giapponesi dedite illegittimamente alla caccia di balene per fini commerciali.
È bene ricordare che il Giappone – fino al 2017 aderente alla Commissione internazionale per la caccia alle balene e quindi costretto ad accettare la moratoria della caccia alla balena per fini commerciali – per anni ha cercato di ingannare la comunità internazionale, appellandosi al diritto di cacciare le balene per scopi scientifici, nonostante la carne di balena continuasse puntualmente a finire nei supermercati nipponici.
Stando così le cose – e a confermarlo c’è una sentenza del 2014 della Corte Internazionale di Giustizia a carico del Giappone – è evidente che le missioni condotte dall’organizzazione guidata dal Capitano Watson miravano a combattere azioni illegittime condotte dalle navi giapponesi. Quindi è difficile dire che Paul Watson sia un criminale, piuttosto Paul Watson i criminali ha sempre provato a fermarli.
La malafede del Giappone è confermata dal successivo abbandono della Commissione Internazionale per la caccia alle balene, siglato nel 2017 ed effettivo dal gennaio 2008. È soprattutto grazie all’impegno e alla tenacia di persone come Paul Watson se il Giappone ha gettato la maschera e se oggi può condurre la disdicevole pratica della caccia alle balene solo nelle proprie acque territoriali e nella propria Zona economica esclusiva.
Non è un caso se il Giappone ha riattivato la “red notice” dell’Interpol proprio ora: Watson stava partendo per intercettare la nuova baleniera giapponese, una fabbrica di morte galleggiante costata 48 milioni di dollari, che è difficile immaginare che opererà – come dovrebbe – solo nelle acque territoriali giapponesi. L’intento intimidatorio del Giappone è chiaro: colpirne uno per educarne cento.
Oggi un uomo che ha dedicato la propria vita alla salvaguardia degli ecosistemi marini e che ha salvato un numero incalcolabile di vite rischia di finire in galera per il resto dei suoi giorni per aver ostacolato una mattanza illegale e per aver quindi tentato di affermare – con la nonviolenza – il rispetto della legge.
Paul Watson è un esempio virtuoso per le giovani generazioni, per le tante e i tanti che oggi sentono l’urgenza di mettersi in gioco per costruire un futuro migliore.
Noi chiediamo alla Danimarca – un Paese che in Europa e nel mondo è tra i più virtuosi per riguarda l’amministrazione della giustizia e del carcere – di non estradare il Capitano Paul Watson in un Paese come il Giappone che è stato attenzionato più volte da autorevoli organizzazioni come Human Rights Watch, Amnesty International e addirittura dall’ONU, per l’abuso costante dei provvedimenti disciplinari e dei mezzi di contenzione in carcere e per i durissimi trattamenti riservati alle persone detenute, classificati come vere e proprie torture fisiche e psicologiche e descritti con aggettivi quali “crudeli”, “inumani” o “degradanti”.
Noi chiediamo alla Danimarca di liberare il capitano Paul Watson e di non essere complice di un Paese – il Giappone – che intende condannarlo e rinchiuderlo in carcere per spaventare chiunque decida di lottare per la tutela e la salvaguarda degli esseri viventi e degli ecosistemi.