Cinque giorni a Kyiv per sostenere la resistenza ucraina e la giustizia internazionale 

Articolo di Massimiliano Iervolino, Giulia Crivellini, Igor Boni, segretario, tesoriera e presidente di Radicali Italiani pubblicato nella rubrica Cronache Radicali de Il Dubbio del 3 maggio 2023


Ieri sarebbe stato il compleanno di Marco Pannella. In questi giorni abbiamo pensato a lui e agli altri compagni radicali che circa trent’anni fa decisero di trascorrere un capodanno nelle trincee croate, accanto agli aggrediti, da nonviolenti, in risposta – anche allora – ai pacifisti che non vedevano differenze tra gli aggressori e chi cercava di resistere alla furia devastatrice. Noi abbiamo trascorso il nostro 25 aprile con i resistenti di oggi, gli ucraini.

Abbiamo attraversato il confine tra la Polonia e l’Ucraina il 21 aprile a tarda sera, partendo con il treno che ci avrebbe condotti a Kyiv dalla cittadina polacca di Przemysl; il luogo dove l’8 marzo 2022 Matteo Salvini – ancora oggi è vigente un accordo a sua firma con ‘Russia Unita’, il partito di Vladimir Putin – fu smascherato ignominiosamente dal sindaco della città che mostrò la famigerata maglietta indossata a sostegno di Putin. E mostrò così al mondo l’ipocrisia complice del nostro vice-presidente del Consiglio. La nostra prima iniziativa pubblica, dunque, è stata quella di improvvisare un flash-mob indossando le nostre magliette, quelle che chiedono “Un 25 Aprile anche per l’Ucraina” e quelle che rilanciano la nostra campagna “Putin all’Aja”. 


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Nella stessa giornata l’allarme antiaereo è risuonato a Kyiv per ben tre volte. 8 droni di fabbricazione iraniana, lanciati per colpire abitazioni civili, sono stati abbattuti dalla contraerea ucraina. 

Dal 22 al 25 aprile la nostra delegazione ha avuto 16 incontri di altissimo livello: membri del Governo; parlamentari di maggioranza e opposizione; ONG; associazioni che si occupano di smascherare la propaganda russa, che raccolgono prove dei crimini di guerra e si stanno adoperando per ricostruire le città distrutte dai crimini russi; accademici che svolgono ricerche sull’Holodomor e Istituzioni della Crimea oggi occupata; militari, cittadini e, non ultimo, il console onorario della Repubblica Cecena di Ichkeria. L’attenzione dei media ucraini, con interviste, conferenze stampa e servizi televisivi è stata superiore a qualsiasi aspettativa. 

Siamo andati a Kyiv proprio in occasione della nostra festa dedicata alla Liberazione, il nostro 25 aprile. Abbiamo creduto, con convinzione, che non vi fosse modo migliore per omaggiare i nostri partigiani, la nostra Resistenza, la nostra voglia di democrazia e di pace. Siamo andati nella capitale della Resistenza di oggi, nel luogo dove si gioca il futuro di libertà e democrazia per tutti noi. Chi combatte nelle trincee ucraine contro l’invasore combatte per ciascuno di noi. Ogni incontro è stato letteralmente eccezionale. La riconoscenza nei confronti dell’azione di Radicali Italiani per denunciare i crimini di Putin, dalla Cecenia alla Georgia, dalla Siria all’Ucraina, è stata enorme, commossa e commovente. Stride in modo evidente la contraddizione di vedere in Ucraina questa consapevolezza rispetto alle nostre proposte, alle nostre azioni, con il silenzio quasi tombale dell’informazione italiana, che non consente di conoscere quel che facciamo, quel che proponiamo. 

Siamo andati a Irpin, Bucha, Borodjanka, nomi che abbiamo imparato a conoscere un anno fa, dopo le evidenze dei massacri attuati dall’esercito di occupazione mentre assediava Kyiv. Luoghi che sono a 20 minuti di macchina dal centro della capitale e che hanno intatti i segni della violenza inaudita, della distruzione. I proiettili, a migliaia conficcati nei muri dei palazzi, sulle auto; i quartieri abbattuti, con interi palazzi residenziali dati alle fiamme, sono monumenti indimenticabili alla follia umana. Vederli, toccarli, sentirne l’odore è diverso dal vedere una fotografia o un’immagine. 

Qui, tra le macerie lasciate dalle bombe, dentro i palazzi sventrati, abbiamo esposto il nostro striscione che è la nostra battaglia politica: PUTIN IS A WAR CRIMINAL. Una campagna che chiede il processo ai criminali di guerra russi, partendo dal principale mandante di tutto questo. Le nostre 10.000 firme consegnate alla Corte Penale Internazionale sono una pietra miliare radicale di cui andare orgogliosi. 

La nostra missione è stata pienamente politica. Abbiamo portato con noi proposte concrete che abbiamo posto sul tavolo di ogni incontro. Al Ministero degli Esteri, dopo aver superato muri di sacchetti di sabbia e controlli, siamo stati ricevuti come rappresentanti a pieno titolo del nostro Paese. Qui abbiamo lasciato la nostra proposta all’Ucraina di aderire allo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale, un passo a nostro avviso essenziale per poter dare forza e credibilità alla giustizia internazionale, soprattutto dopo l’emissione del mandato di cattura nei confronti del terrorista del Cremlino. Qui abbiamo rilanciato la proposta di gemellaggi tra città italiane e ucraine sulla quale stiamo da tempo lavorando, che è essenziale per la ricostruzione, anche del tessuto sociale e culturale abbattuto dalle bombe. Qui abbiamo approfondito il tema della infiltrazione della propaganda russa e, collegato, quello della proposta di un referendum in Italia che chiede di fermare la guerra smettendo di inviare armi all’Ucraina. Un referendum truffa che, se raggiungesse effettivamente il proprio obiettivo, servirebbe su un piatto d’argento la testa della democrazia liberale europea all’autocrate di Mosca. 

Con i parlamentari che ci hanno ricevuti ci siamo soffermati sulla necessità di arrivare al ritiro completo delle vergognose onorificenze che il nostro Paese ha consegnato nelle mani di oligarchi russi. In particolare quella al portavoce di Putin, Dmitrij Peskov, e quelle al nuovo ambasciatore in Italia, Aleksej Paramonov. Con tutti loro abbiamo condiviso la nostra richiesta, dal 2014, di ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea, in una città dove in ogni angolo sventolano le bandiere blu con le stelle gialle, gli stessi colori della bandiera ucraina. 

Con le ONG che si occupano di raccogliere prove sui crimini di guerra e con “Stop Fake” (il progetto dell’Università di Giornalismo che ha l’obiettivo di porre un argine alla guerra ibrida del Cremlino) abbiamo concordato sulla necessità di dare voce alle vittime per contrastare una disinformazione e una propaganda russa sempre più pervasiva, soprattutto nel nostro Paese. Ci siamo impegnati a realizzare insieme un evento dove far conoscere le storie di chi ha subito violenze inaudite, delle mamme alle quali sono stati sottratti i bambini, spariti per mesi o per sempre in qualche angolo della Russia. 

Il motto einaudiano “conoscere per deliberare” ci ha inseguiti ovunque. In particolare quando abbiamo potuto vedere alcuni documenti desecretati sulla strage di milioni di ucraini nell’Holodomor del 1932-1933, o nell’incontro avuto alla Missione del Presidente dell’Ucraina nella Repubblica Autonoma di Crimea. La storia sconosciuta o, peggio, raccontata al contrario da servi del Cremlino, insegna e indica le strade da percorrere per evitare nuovi genocidi. 

Ognuno di noi porterà con sé ricordi indelebili, come l’incontro con Vitalii Markiv, già ufficiale della Guardia nazionale Ucraina, che in Italia ha subito e sopportato tre anni di carcere ingiustamente, accusato sulla base della propaganda russa di aver ucciso il giornalista Andrea Rocchelli e l’amico radicale Andrej Mironov. Averlo incontrato tra le carcasse dei carri armati russi, esposti a futura memoria nella piazza principale della città, sentire la sua riconoscenza e la denuncia sulla drammatica situazione delle carceri italiane, non si può dimenticare. 

Così come resta scolpito nella memoria l’incontro con Arthur Kharitonov, 27 anni, leader della Lega Liberal-democratica, con il quale, nel locale dove andava a bere qualcosa con i suoi amici morti al fronte, abbiamo parlato della necessità di riforma degli organismi internazionali, a cominciare dal Consiglio di sicurezza dell’ONU che vede oggi la presidenza della Russia. 

La nostra missione si è conclusa la mattina del 26 aprile, dopo 10 ore di treno che solca la pianura fertile del Paese, quella che sfama una parte importante del mondo con il suo grano, con le sue terre nere. Abbiamo riattraversato un confine, quello tra Ucraina e Polonia, che dovrebbe al più presto sparire, come dovrebbe sparire l’indifferenza e la complicità con chi ha provocato la morte di centinaia di migliaia di persone in questo ultimo anno. 

A poche ore dal nostro ritorno risuona nuovamente l’allarme su tutto il Paese. 11 missili Cruise e 2 droni, lanciati per colpire Kyiv, sono stati abbattuti dalla contraerea. Alcune città sono state colpite e ci sono altri morti, altra distruzione. Se l’esercito ucraino non avesse le armi per difendersi sarebbe la fine dell’Ucraina, la fine dell’Europa. A chi dice, ancora oggi, che per fermare la guerra occorre smettere di inviare armi all’Ucraina, diciamo di aprire gli occhi e vedere chi attacca, chi aggredisce, chi massacra e chi cerca solo di difendersi, di sopravvivere, di avere speranza in un futuro di libertà.