Anche quest’anno, nessun Paese segna performance tali da contrastare la crisi climatica, secondo il Climate Change Performance Index, il rapporto sulle prestazioni climatiche steso da Germanwatch, CAN e NewClimate Institute in collaborazione con Legambiente per l’Italia.
Restano quindi vuote per l’ennesima volta i primi 3 posti della classifica stilata dal rapporto, presentato alla COP27 di Sharm el-Sheikh e che monitora 59 nazioni più l’Unione Europea nel suo complesso, rappresentanti il 90% delle emissioni climalteranti del pianeta.
Siamo insomma ancora ben lontani dall’aver raggiunto le prestazioni necessarie a fronteggiare la crisi climatica e a contenere l’aumento della temperatura media globale entro la soglia critica di 1,5°C, con l’Italia sempre intruppata a metà classifica, cioè al 39° posto.
Interessante notare chi ricopre la posizione più avanzata in classifica, cioè la Danimarca al 4° posto, da cui si potrebbe cercare di carpire qualche dritta che aiuti chi è più attardato in classifica, come l’Italia, a fare meglio in futuro.
E osservando la Danimarca si scoprono cose interessanti. Il rapporto ne sottolinea l’impegno per l’abbandono delle fonti fossili e lo sviluppo delle rinnovabili. Ma il vero eroe dimenticato degli sforzi di decarbonizzazione di Paesi come la Danimarca è il teleriscaldamento.
Il teleriscaldamento è l’elemento più distintivo della sua infrastruttura energetica: il 67% del riscaldamento in Danimarca è infatti coperto da questi impianti di riscaldamento centralizzato per interi quartieri o città, con grandi guadagni in efficienza, viste le dimensioni.
In Danimarca, il teleriscaldamento è alimentato sempre di più da energie rinnovabili, in vari casi già coadiuvato dal calore in eccesso generato dai processi produttivi delle aziende, e l’uso dei combustibili fossili sarà eliminato entro il 2029 – fra appena 7 anni.
Il teleriscaldamento verde è un po’ il fratello maggiore delle pompe di calore nella grande famiglia dell’efficienza energetica: entrambi riducono la domanda di energia a parità di prestazioni, col vantaggio che un kWh non consumato è il più facile da rifornire e decarbonizzare.
Anche le pompe di calore sono super efficienti grazie alla loro capacità di prelevare direttamente dall’aria, dall’acqua o dal terreno il grosso dell’energia termica necessaria per farle funzionare. Ora, teleriscaldamento e pompe di calore stanno unendo le loro forze.
Le pompe di calore di grandissime dimensioni sono al centro dei nuovi sistemi di teleriscaldamento, rendendoli totalmente rinnovabili rispetto alle pompe di calore domestiche, che devono in parte affidarsi a boiler elettrici per garantire una presenza costante di acqua calda.
Invece del bollitore elettrico, questi sistemi hanno infatti scambiatori di calore, per trasferire l’energia termica e sempre-verde prelevata dall’ambiente direttamente all’acqua nelle tubature, da usare in cucina, in bagno e da far scorrere nei radiatori.
Questa pippa tecnica serve ad andare al punto, non solo energetico, ma anche politico che interessa il nostro Paese. Soluzioni di teleriscaldamento con pompe di calore extra-large sarebbero molto adatte all’Italia, con le sue tante città medie e grandi affacciate sul mare.
Questi sistemi possono infatti usare benissimo l’acqua di mare come fluido da cui estrarre calore e alimentare il teleriscaldamento a pompa di calore di tipo acqua-acqua. Le tecnologie sono già assolutamente disponibili, mature e verdi.
L’ostacolo a questo tipo di impianti è l’investimento iniziale maggiore rispetto a quello per le comuni centrali a gas. Il vantaggio è che una volta installati, le spese operative per lunghi anni di servizio sono molto più basse. E mai più dipendenti dal gas e dai prezzi del gas.
Ora, poiché la neopresidente del consiglio Meloni è molto focalizzata sull’economia del mare, invece di grossi buchi nell’acqua con le nuove trivellazioni in Adriatico, perché non prendere esempio dalla prima della classe e puntare di più sul teleriscaldamento verde con tonalità blu-mare?
Ridurre il fabbisogno con l’efficienza di queste soluzioni faciliterà i nuovi obiettivi annunciati a Sharm el-Sheikh dall’Ue (riduzione emissioni del 57% al 2030 invece che del 55%) e farà andare più lontano i target annunciati dall’Italia (70 GW rinnovabili in 6 anni invece che in dieci).