Davide Amadori
INNOVARE LA DEMOCRAZIA: SALVARE LA PARTECIPAZIONE POLITICA DALLA CRISI DELLA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA.
Sarebbe ormai superfluo ribadire il fatto che viviamo una crisi sempre più profonda della democrazia rappresentativa, mi limito quindi a portare alla vostra attenzione alcuni dei sintomi principali che ho riconosciuto in questi ultimi anni:
– Utilizzo ormai ordinario della decretazione d’urgenza e della questione di fiducia, mortificando il parlamento a mero passacarte del governo
– Incapacità del parlamento di affrontare trasparentemente temi che esulano dalle proposte legate all’attività del governo, ne sono esempi il ddl Zan, ma anche la recente rielezione di Mattarella, la mancata discussione delle leggi di iniziativa popolare e delle richieste di intervento della corte costituzionale
– Partiti che hanno ormai atrofizzato (quando non snaturato) i propri strumenti di dibattito e rinnovamento interni, ne sono esempi il fatto che l’attuale segretario del PD è stato eletto in un’assemblea straordinaria senza dibattito di cui era l’unico candidato, le revoche e mancati riconoscimenti da parte dei tribunali dei rappresentanti legali del M5S, Crimi prima e Conte poi, in cui i tribunali hanno annullato modifiche statutarie da lui apportate; mentre nei partiti di destra i meccanismi di ricambio o riconferma della leadership mancano quasi totalmente
– Leggi elettorali create a tavolino ad uso e consumo dei partiti che impediscono una reale scelta dell’elettore, in barba alle indicazioni referendarie che cancellavano il proporzionale ed alle norme che impediscono cambi della legge elettorale a ridosso delle elezioni.
Le campagne referendarie e di iniziativa popolare ci hanno dimostrato che ancora vi è, da parte dei cittadini una fiducia nei confronti di questi strumenti come mezzi per la riforma democratica della società. Ma la crisi della democrazia rappresentativa, da cui questi strumenti comunque dipendono, sta contaminando in maniera sempre più pervasiva la democrazia in senso lato, approfondendo in maniera irreversibile lo strappo tra i cittadini e le istituzioni, quando non la crescente sfiducia nel metodo democratico in sè. Questa crisi impone che gli strumenti di democrazia popolare (iniziative e referendum) vadano oltre il ruolo sussidiario per cui erano state concepiti, ma diventino sempre più strumenti convenzionali di riforma della società con pari dignità rispetto alle assemblee elettive ed agli organi da esse derivate, anche al punto di immaginare percorsi di riforma che bypassino questi organi istituzionali in caso di mancato intervento poiché questi strumenti, per essere realmente efficaci nell’espressione dei diritti politici dei cittadini, devono diventare ineludibili. Oltre alla democrazia partecipativa, sul credo vada riconosciuto un maggior ruolo delle associazioni e di altri cosiddetti corpi intermedi extraparlamentari nel determinare la politica nazionale: non possiamo ignorare il fenomeno dei movimenti di piazza come le 6000 sardine che hanno rappresentato solo l’espressione più recente di forme organizzative che si sono succedute nel tempo (pensiamo ai girotondi, al popolo viola ed altri), ma che in mancanza di mezzi e strumenti codificati nelle istituzioni hanno inevitabilmente disperso il proprio potenziale, al di là dei giudizi che si possono esprimere sui contenuti o sul metodo adottato da questi movimenti. Su questo è necessario quindi riconoscere formalmente nella normativa il ruolo dei portatori di interesse (o cosiddette lobby, che si tratti di interessi morali od economici) e del ruolo delle class action all’interno della giurisprudenza italiana, che ne potrebbero diventare strumento fondamentale. Vi è infine il grande tema di riforma sia della facilitazione alla partecipazione elettorale (come ad esempio l’attuazione del voto fuori sede) sia dell’accesso alla vita politica, che riguarda sia la sburocratizzazione delle procedure per la presentazione di nuovi soggetti elettorali sia l’attuazione dell’articolo 49 cost. sulla organizzazione dei partiti e della loro democrazia interna. Quest’ultimo punto credo debba esser portato con maggior forza nel nostro dibattito interno: come Radicali, storicamente abbiamo sempre sostenuto e favorito forme congressuali “per iscritti”, e credo che per il soggetto Radicali Italiani questa sia ancora la miglior forma congressuale possibile, ma quando ci siamo confrontati con altri soggetti come accaduto durante la fase statutaria di Più Europa, ci siamo accorti delle conseguenze provocate da differenti interpretazioni della militanza politica. Penso che questo debba portarci ad analizzare complessivamente le diverse forme di organizzazione interna che può assumere un soggetto politico, e quali di queste favoriscono meccanismi meritocratici. Sulla base di questi ragionamenti, vengo dunque ad una proposta per il prossimo anno politico di radicali Italiani: programmare su ciascuno di questi temi una serie di seminari per approfondire quella che è la “tassonomia” della democrazia partecipativa, di processi di riforma che possono essere portati dentro le istituzioni nazionali ed internazionali, che culmini in una convention sulla base del format già sperimentato di “Hic et nunc” e che ci porti, nel corso di un anno, a razionalizzare una piattaforma di proposte di riforma degli strumenti di democrazia partecipativa, e delle azioni da mettere in campo per favorire questi strumenti. In questo dobbiamo cercare una collaborazione con Eumans e Democrazia Radicale, il coinvolgimento di costituzionalisti, filosofi del diritto ed accademici per preparare una serie di attività congiunte da mettere in campo a partire dal 2023. Mi sporgo nell’ipotesi di due proposte che potrebbero trovare spazio all’interno di un elenco di riforme di questo tipo e che derivano da alcune delle nostre elaborazioni più recenti:
1. L’introduzione del referendum propositivo come esito delle iniziative popolari non discusse in parlamento entro i termini previsti (come già ipotizzato da precedenti proposte di riforma), in seguito al quale i promotori potrebbero avviare lo stesso iter previsto per i referendum abrogativi
2. Il rafforzamento della democrazia partecipativa tramite la possibilità di integrare temporaneamente le istituzioni, ovvero il parlamento, con cittadini sorteggiati tra i firmatari di una proposta di legge o di referendum, in tutte le occasioni in cui il parlamento è chiamato a discutere i temi legati alla specifica proposta popolare, sia come forma di garanzia degli esiti referendari o della volontà popolare sia per introdurre un periodo temporale in cui questa garanzia ha effetto.