Linee guida sanità e Next Generation EU: Linee generali molto valide, ora lavoriamoci insieme

Le linee guida per la sanità dei progetti del Next Generation EU, che dedica oltre 7 miliardi al miglioramento della sanità italiana, saranno in discussione domani, 17 marzo, alla Commissione Sanità della Camera dei Deputati. 

Michele Usuelli, consigliere di Più Europa/Radicali in Lombardia, ha avuto modo di visionare il testo e, sulla base della sua esperienza come medico di terapia intensiva neonatale, consigliere regionale della Lombardia ed esperto di scrittura e gestione di progetti UE, ha stilato le sue proposte e correzioni sul documento. Questo il suo commento: “Le linee generali sul tema della sanità all’interno del Next Generation EU sono molto valide; ora è il momento di lavorarci insieme, per migliorare e sviluppare davvero una rete territoriale che sia di sostegno alla salute dei cittadini”. 

Nello specifico, nell’ambito del Recovery and Resilience Facility (RRF) vengono stanziati 7,5 miliardi di euro, di cui 4 miliardi di euro per le “Case della salute”; 1 miliardo di euro per l’assistenza domiciliare (ADI); 2 miliardi di euro per lo sviluppo di Community Hospitals (strutture di ricovero a bassa intensità di cura). Di seguito le osservazioni di Usuelli su questi temi.

Le case della salute: In Italia molte di queste realtà già esistono, costituiscono un servizio territoriale molto utile per i cittadini e vanno promosse incentivando i medici di medicina generale che scelgano di lavorare in forma aggregata. Nella bozza di documento del governo sono troppe: 2.575, una ogni 23.400 abitanti. Il prof Remuzzi nella sua relazione sulla riforma della legge 23, consiglia 1 casa per 60,000 cittadini (1 casa per ogni distretto sanitario), l’Emilia Romagna ne prevede 1 ogni 37,500 abitanti.

“Dal documento pare siamo all’anno zero, ma esistono già molte di queste realtà e dobbiamo costruire basandoci sulle lezioni imparate da queste esperienze”, ha commentato Usuelli. “È facile prevedere che troppe case della salute saranno poi difficili da riempire delle risorse umane necessarie a renderle efficaci, polverizzando il personale sanitario della medicina del territorio. Serve invece che vi sia una massa critica di personale per ogni casa di salute, in modo da farla diventare davvero un luogo di integrazione di servizi. ”. 

Secondo Usuelli, un numero congruo di medici di medicina generale, infermieri, assistenti sociali e segretarie, più una serie di specialisti ospedalieri che lavorano a cadenze regolari all’interno delle case della salute, sono ciò che occorre per far funzionare bene le case della salute.

“La rivoluzione delle case della salute si basa sul concetto che i medici di medicina generale siano incentivati a smettere di lavorare da soli nell’angustia di un piccolo studio medico e inizino a lavorare in forma aggregata, in modo da offrire assistenza per più ore al giorno e per più giorni a settimana, consultandosi ed aggiornandosi tra loro”, ha detto Usuelli. 

In più, “I soldi risparmiati dalla costruzione di meno case della salute devono essere investiti per creare le condizioni vantaggiose per i medici che scelgono di lavorare in forma aggregata. Nelle poche case della salute lombarde, ad esempio, mancano del tutto gli assistenti sociali. Senza di loro non può esistere una vera integrazione fra socio e sanitario”, ha osservato il medico e consigliere. 

Assistenza domiciliare (ADI): All’interno del documento di linee guida stilato dal governo si legge che la previsione è di realizzare 575 strutture di assistenza domiciliare sul territorio nazionale. Per Usuelli, però, queste devono essere integrate all’interno delle Case della salute, altrimenti il concetto di integrazione dei servizi del territorio salta. Inoltre, i centri ADI dovrebbero collaborare insieme alle ATS, e non dentro le ATS.

“Se avessimo distretti da 60,000 abitanti e una Casa della salute con centro ADI integrato per ogni distretto, questo (salvo le zone con difficoltà orografica e a bassa densità abitativa) costituirebbe il modello di integrazione dei servizi del territorio”, ha detto Usuelli.

Inoltre, il personale delle case della salute potrebbe lavorare in ADI e viceversa, curando lo stesso bacino di persone. “Immaginate quanto più piacere darebbe all’anziano che viene visitato a casa dall’infermiera, quando poi va alla Casa della salute, ritrovarsi la stessa persona che aveva incontrato a casa propria”, osserva Usuelli.

“Anche qui i soldi risparmiati dalla non realizzazione di strutture ad hoc per assistenza domiciliare possono essere impiegate per formazione e per favorire in maniera economica i sanitari che scelgano di lavorare sul territorio, oggi considerati professionisti di serie B rispetto ai colleghi ospedalieri”, ha aggiunto Usuelli.

Community Hospitals: Il documento del governo italiano sul RRF prevede l’istituzione di 753 strutture di ricovero a bassa intensità di cura, una ogni 80.000 abitanti. “Qui valgono le stesse considerazioni delle case della salute: paiono troppe e quindi saranno piccole e faticheremo a trovare il personale sufficiente che ci lavori in quantità sufficiente per renderle efficaci ed efficienti”, osserva Usuelli. “Le attuali esperienze di tanti concorsi pubblici per sanitari, che vanno deserti, devono insegnarci qualcosa. Allo stesso modo serve il rispetto del DM70, che impone di legare la qualità delle prestazione alla quantità (ovvero, grossi reparti allenano meglio il personale in tutte le procedure). Inoltre, se sono di meno, potranno più facilmente essere riforniti della tecnologia migliore per quel setting”, ha aggiunto Usuelli. 

Nello specifico, Usuelli suggerisce di adottare un Community Hospital ogni 2 distretti da 60mila abitanti, per un numero totale pari a 500 in tutto il territorio nazionale. “Chiediamo lo stesso quantitativo di danaro per realizzare Community Hospital più grandi e più belli, dove lavori volentieri più personale sanitario. In questo modo potrà favorire l’integrazione dei servizi, generare una più facile comprensione da parte dei cittadini delle strutture sanitarie e facilitare anche la gestione manageriale “Casa della salute-ADI-Community Hospital”.

Infine, rispetto al capitolo 2 su “Innovation, research and digitalisation of national healthcare service” Usuelli dichiara: “Mi limito ad osservare che i software che saranno utilizzati dovranno essere uguali in tutta Italia, sia per la telemedicina, che per la cartella clinica elettronica dei reparti, che per il fascicolo sanitario elettronico, in maniera da essere tra loro integrati ed in comunicazione. Anche i software di prenotazione per visite ed esami devono essere uguali e parlarsi tra di loro. In tal modo, i big data di 60 milioni di persone potranno essere facilmente raccolti e studiati dal sistema pubblico, a beneficio esclusivo della salute dei cittadini italiani”.