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Relazione di Silvja Manzi iI Comitato di Verona, 29/31 marzo 2019

Compagne, compagni,

perché abbiamo deciso di convocarci a Verona. Proprio qui, dove è stata ambientata una delle più celebri storie d’amore del mondo si riunisce il Congresso Mondiale delle Famiglie. Proprio qui, dove la tragedia shakespeariana ha descritto la forza inarrestabile dell’amore e la sua capacità di superare ostacoli impossibili, ci troviamo di fronte a chi nega la libertà di amare, a chi ritiene di avere il diritto di scegliere cosa è giusto e cosa è sbagliato per ciascuno di noi.

Noi rivendichiamo fino in fondo la libertà e il diritto per ciascuno e per tutti di scegliere chi amare. Rivendichiamo le vittorie che abbiamo ottenuto in decenni di lotte.

Lo diciamo con orgoglio: le leggi sul divorzio, sull’aborto, sull’obiezione di coscienza, sul diritto di famiglia, sulle unioni civili, sul testamento biologico hanno cambiato in meglio il nostro Paese. Che questi signori vogliono riportare indietro, appunto, di decenni.

Oggi questa ondata oscurantista e reazionaria, paternalista e autoritaria, deve essere fermata con la mobilitazione di chi crede nel dovere di difendere le libertà ottenute, con la consapevolezza però che occorrono ulteriori passi avanti da conquistare, a partire dalla necessità di approvare una legge che legalizzi l’eutanasia. Seguendo anche quanto indicato dalla nostra Mozione congressuale e da quella dell’ultimo Comitato, abbiamo aderito nello scorso fine settimana alla mobilitazione lanciata dall’Associazione Luca Coscioni su questo tema, trovando, di nuovo, nelle strade e nelle piazze una risposta incredibile in termini di consenso e di ascolto sulla necessità che il Parlamento discuta e voti sul progetto di legge di iniziativa popolare che abbiamo consegnato con oltre 60.000 firme di cittadini italiani.

Ma questi signori, i signori del Congresso delle famiglie, hanno saputo creare una rete internazionale, forte, organizzata, efficace. Noi, liberali e libertari, noi che laicamente crediamo nella libertà di scelta dell’individuo, dall’inizio alla fine, rischiamo di essere schiacciati dall’inerzia di molti e dall’illusione di altri che credono che le conquiste di libertà siano patrimonio garantito e acquisito per sempre. Non è così. Oggi, di nuovo, chi vuole trasformare il peccato in reato rischia di prevalere se non sapremo dare voce, corpo e gambe a una nuova stagione laica di lotte.

Per questo siamo qui. Per dire a noi stessi e a tutti che occorre un nuovo movimento dei diritti civili che con convinzione, forza, unione, nonviolenza e consapevolezza, sappia costruire una adeguata difesa e sappia conquistare nuove frontiere di libertà. Da qui dobbiamo ripartire per una nuova stagione di lotta e di battaglie sui diritti civili. E organizzare presto quegli Stati generali dei diritti e dei doveri che da un po’ di tempo stiamo evocando.

Di fronte a noi non c’è solo la forza dei conservatori della peggior specie, ma anche quella di opportunisti e ipocriti della peggior specie. Ne cito solo tre: il ministro Matteo Salvini che ogni giorno dimostra, a chi sa vedere e ascoltare, che non crede semplicemente a nulla, se non al potere; il senatore Simone Pillon che con il suo progetto di legge vuole togliere alle coppie separate il diritto di decidere in autonomia e consapevolmente, introducendo per obbligo figure terze come il “mediatore familiare”, che si sostituisce ai genitori nella gestione dei figli e che deve essere pagato per legge. E sottolineo che, casualmente, il Senatore Pillon si fregia del ruolo di mediatore familiare: altro che conflitto di interessi; qui siamo semplicemente alla promozione degli interessi privati. E poi, come non citare la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, che proprio qualche giorno fa ha dimostrato quanto sia intrisa di antisemitismo con le vergognose dichiarazioni su George Soros e su +Europa, e che, sempre qualche giorno fa, si fregiava del titolo di unica donna leader di partito in Italia… cara Giorgia, qui noi siamo ben tre!

Ma come nel passato, lo ricorderete – Marco Pannella lo evocava spesso -, anche oggi costoro propagandano la famiglia tradizionale, lanciando anatemi su chi non difende questo modello, essendo però separati o divorziati, conviventi, magari con figli avuti da partner diversi. Per noi non sarebbe un vanto, né una colpa, tantomeno una notizia. Ma, senza noi sindacare sulle scelte di vita altrui, possiamo almeno dire che ci troviamo di fronte a un festival dell’ipocrisia e dell’incoerenza, perché loro erano e sono quelli che hanno votato contro la legge sul divorzio, contro l’obiezione di coscienza e a favore dell’aborto clandestino. E noi siamo ancora nelle piazze a raccogliere firme per Aborto al Sicuro, grazie ai compagni lombardi, iniziativa che sta per essere replicata in altre regioni italiane.

Oggi è il tempo di contraddizioni così grandi che rischiano di non essere viste. Quel che è certo è che il Congresso Mondiale delle Famiglie – e apprezziamo il forse non voluto plurale, cui noi diamo un senso più aperto – dimostra che siamo di fronte a reti internazionali, lautamente finanziate e sostenute, che oggi vedono nell’Italia uno dei principali alleati. Che vedono l’Italia come il Cavallo di Troia dell’orbanizzazione d’Europa. Il paradosso è che queste reti internazionali e transnazionali sono più efficaci tra i sovranisti e nazionalisti piuttosto che tra chi, come noi, vuole un processo di integrazione e conquista degli Stati Uniti d’Europa che metta al centro democrazia, libertà e diritti, senza dimenticare i doveri.

Abbiamo voluto convocare il nostro Comitato qui per dare un segno politico e civile. La nostra lotta non si è mai fermata e non si fermerà certo ora. Anzi. Dobbiamo ritrovare la spinta e la forza necessaria per non mollare proprio ora.

La diversità radicale è tutta qui: mettere al primo posto le persone e non le patrie; i diritti umani, la democrazia, la libertà di scelta e non gli Stati. Difendere in ogni modo possibile lo Stato di diritto contro chi del diritto vuole fare carta straccia in nome del consenso.

La nostra debolezza è debolezza della democrazia. Se guardiamo anche solo alle ultime settimane vediamo un film già visto con l’aggravante che la nostra voce è ancora più flebile, più debole, più incomprensibile. Abbiamo assistito a uno scontro interno al Governo e tra Governo e Partito Democratico sulle scelte di accordo con la Cina rispetto alla cosiddetta “via della seta”. Praticamente nessuno, tranne noi, ha provato a sollevare la questione diritti umani; nessuno tranne noi ha provato a ricordare come la Cina rappresenti il campione della repressione, il campione della pena di morte, il campione dell’eliminazione di dissidenti e della libera informazione. Di questo a qualcuno interessa? Noi crediamo che su ogni tavolo di trattativa debba essere messo il rispetto dei diritti umani; altrimenti si diventa semplicemente complici delle violazioni. Vale per la Cina come per la Russia (e la Cecenia), vale per gli Stati Uniti di Trump come per il Brasile di Bolsonaro, vale per il Venezuela come per la Siria o la Libia. Ogni dossier ci dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, che l’unica strada possibile è quella della giustizia internazionale e della federazione europea, di un’Europa che sappia parlare con una sola voce in politica estera e di difesa così come nella politica economica e ambientale.

La fotografia più precisa e più terribile del mostro che abbiamo davanti e che rischia di inghiottire tutto è l’approccio del nostro Paese alle vicende legate alla giustizia – su tutti, basti pensare all’obbrobrio della legge sulla legittima difesa – e all’immigrazione. Anche qui, grazie soprattutto al nostro impegno militante, siamo riusciti a raggiungere l’insperato risultato di superare il limite di firme previsto per l’Italia nella campagna Welcoming Europe, ma la strada è ancora tutta da percorrere. Abbiamo superato le 65.000 firme e un grazie lo voglio inviare a tutti coloro che hanno creduto in questa battaglia. Una battaglia di ragionevolezza per conquistare una politica europea sull’immigrazione che ragioni di canali umanitari e non di navi sequestrate nei porti, che ragioni di diritti da rispettare e non di chiudere gli occhi sulle violenze e le torture nei lager libici, che ragioni di sviluppo economico e democratico dei paesi africani e non di affari con i dittatori di turno per fermare i flussi. Di questa situazione letteralmente incredibile – nel senso che qualche anno fa sarebbe stata inimmaginabile nemmeno se ce l’avessero raccontata – oggi la responsabilità massima è della Lega di Matteo Salvini, del suo cinismo, del suo bieco opportunismo, della sua cieca fame di potere; ma dobbiamo al contempo constatare che sul tema dei diritti e dell’immigrazione il Movimento 5Stelle ha completamente abbassato la guardia, divenendo pienamente complice delle violazioni del Governo. Il tutto però non avviene in discontinuità con il passato, perché quanto avvenuto non rappresenta altro che l’aggravarsi di una situazione di gestione dell’immigrazione inaugurata dal ministro Marco Minniti del Partito Democratico. E colgo l’occasione per ricordare sia l’azione nonviolenta di Riccardo Magi che è salito sulla nave SeaWatch per dire agli immigrati che in Europa sono i benvenuti, sia la manifestazione “Non siamo pesci” che abbiamo organizzato inondando letteralmente piazza Montecitorio il 28 gennaio scorso.

Quando il nostro Parlamento, a larga maggioranza, con i voti delle forze di Governo, di Forza Italia e Fratelli d’Italia, ha consentito al ministro Salvini – accusato, ritengo giustamente, di sequestro di persona – di sfuggire alla giustizia, di scappare dalle sue responsabilità, ho ripensato a Enzo Tortora che si dimise da parlamentare europeo per affrontare le aule del tribunale contro l’accusa infamante che i camorristi gli lanciarono con il supporto complice di parte della magistratura italiana. Ho ripensato ad Adelaide Aglietta e al coraggio di affrontare il ruolo di giurata popolare nel processo contro le Brigate Rosse per far trionfare il diritto alla difesa e la giustizia. Che differenza! Che enorme e infinita differenza.

La nostra visione, che pone al centro il diritto e che denuncia le violazioni di legge delle istituzioni come il principale crimine contro la democrazia, è visione unica. Dobbiamo esserne consapevoli. Per questo, con un lungo lavoro che sta impegnando parte della Direzione e della Giunta, stiamo ultimando il “Dossier Stato di diritto”. Un documento che rappresenta un elenco ragionato delle violazioni perpetrate da chi oggi governa l’Italia ai danni della Costituzione scritta, delle leggi, degli accordi internazionali, della carta dei diritti umani e dei diritti civili. Un documento che credo debba e possa divenire strumento di lotta politica in ogni parte d’Italia, nelle mani delle nostre associazioni e dei parlamentari, dei nostri iscritti e militanti per affermare con forza che “strage di diritto prima o poi diviene strage di popoli”.

Nell’elenco impressionante delle violazioni a cui abbiamo assistito, si legge la strada della distruzione delle basi della nostra democrazia liberale. Ogni giorno quell’elenco dovrebbe, e sarà, aggiornato perché a ogni dichiarazione, a ogni legge proposta si ripercorre lo stesso schema: quello di eliminare i tasselli del vivere civile, del rispetto della separazione dei poteri e degli organismi indipendenti. Un disegno che ha come unico fine il consenso che non è più un mezzo per conquistare riforme ma rimane esclusivamente un obiettivo per la conquista del potere. Su questo, con Riccardo abbiamo pensato di organizzare un evento con alcuni costituzionalisti che speriamo possa avere la forza di bucare il muro, apparentemente indistruttibile, dell’informazione di regime.

E su questo. Ricordate le nostre storiche battaglie contro l’informazione partitocratica della RAI? Mai, in nessun momento della nostra storia recente, le percentuali dedicate al Governo e ai partiti di Governo hanno raggiunto livelli da stato totalitario come in questi mesi. Abbiamo la forza per organizzare una rivolta nonviolenta contro questo scempio? Penso dobbiamo trovarla. Lo chiedo al Comitato come elemento di riflessione e di proposta. E lo chiedo a maggior ragione perché l’azione di questo governo sta uccidendo il diritto dei cittadini a essere informati, sta spegnendo le voci più libere e più estranee al regime. E anche se in questo periodo Radio radicale, la radio che parla e che ascolta, ci fa parlare pochissimo e ancora meno ci fa ascoltare, noi vogliamo che Radio radicale viva perché è anche la nostra radio, il nostro archivio, la nostra storia.

Credo che nella valutazione della politica del governo gialloverde, oltre che nel giudizio sui suoi provvedimenti e sui riflessi che hanno sulla situazione politica ed economica complessiva della nostra Repubblica, si debba prendere atto che si tratta di una convergenza contingente e opportunistica, basata sullo scambio di voti a favore di misure solo elettoralistiche che giovano all’uno o all’altro dei due contraenti, sulla base del famigerato Contratto di governo, ma che hanno innescato un processo destinato a consegnare in un tempo più o meno breve l’Italia a una destra a direzione salviniana e quindi profondamente cambiata e lepenizzata. È quanto ci dicono i risultati elettorali delle ultime regionali, in Abruzzo, Sardegna e Basilicata. I risultati dimostrano che l’elettorato 5Stelle subisce un accelerato sfaldamento e che il voto a Forza Italia non è in grado di condizionare o limitare questo processo di estremizzazione della destra, né sul piano delle politiche europee né su quello della difesa dello stato di diritto e della difesa della democrazia liberale. Anzi, l’elettorato di Forza Italia fa fatica a resistere al processo di attrazione e di assorbimento messo in atto dalla Lega e manifesta segni di cedimento nei confronti delle sue politiche più reazionarie. Viene meno ogni residuo di quel liberalismo che Silvio Berlusconi e Forza Italia hanno sempre rivendicato ma che non hanno mai messo in pratica nelle loro scelte politiche e di governo, nonostante i generosi tentativi dei radicali e di Marco Pannella.

Non è, il mio, allarmismo nei confronti di ciò che ci attende. Siamo venuti a Verona per contrapporre la nostra presenza, i nostri corpi e la nostra voce alla manifestazione che i nostri avversari di sempre hanno convocato proprio qui per riproporre una politica di attacco ai diritti e alle libertà civili, che ha già cominciato a manifestarsi con virulenza in alcuni paesi dell’Europa dell’est e in Turchia: una politica che intende rimettere in discussione il diritto all’autodeterminazione della donna, determinare con politiche ambigue, se non addirittura la cancellazione, la forte limitazione dell’aborto, criminalizzando il principio della paternità e maternità consapevole. Abbiamo sempre dovuto lottare per difendere quei diritti conquistati e abbiamo sempre saputo che l’unico modo di difenderli era quello di consolidarli e di estenderli. A maggior ragione oggi non possiamo farci illusioni che la vittoria di una destra sovranista così radicalizzata non metta a grave rischio quei diritti e quelle libertà. Ne avevamo consapevolezza quando avvertivamo noi stessi e gli altri che le degenerazioni partitocratiche della nostra vita democratica e del nostro ordinamento costituzionale potevano divenire una nuova peste che dall’Italia, come negli anni ’20 e ’30 avvenne con il fascismo, si sarebbe diffusa nel resto d’Europa. Ora non possiamo ignorare il fatto che con il governo gialloverde l’Italia è all’avanguardia nella conquista delle istituzioni e nell’imposizione di politiche profondamente antieuropee, sovraniste e populiste. Questo avviene in un contesto di profondi cambiamenti che hanno investito l’intera Europa e l’intero mondo occidentale: basti pensare alla Brexit, ai gilet gialli che mettono a ferro e fuoco il centro di Parigi in Francia e a ciò che è avvenuto negli Stati Uniti con l’elezione di Donald Trump; paesi questi in cui gli ordinamenti costituzionali e istituzionali oppongono tuttavia ben altre resistenze di quelle che in Italia incontrano coloro che detengono il governo del Paese. A questo proposito è esemplificativo della situazione che viviamo il sostegno esplicito, folle e pericoloso, che il vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio ha dato al movimento dei gilet gialli, provocando una crisi istituzionale con la Francia che solo la capacità di mediazione e diplomatica del presidente della Repubblica Sergio Mattarella è riuscita a contenere.

Vengo a un ulteriore punto che ci tengo a trattare perché probabilmente è proprio da qui che arriverà la disfatta di questa fase di governo che prefigura una disfatta per tutti gli italiani: la questione della gestione dell’economia e del nostro debito pubblico. Su questo voglio ringraziare il gruppo economia che sta lavorando e che produce ottimi spunti di riflessione. I provvedimenti populisti e demagogici di questo governo, reddito di cittadinanza da una parte e quota 100 dall’altra, sono come due cariche esplosive innescate sulle fondamenta del fragile edificio economico italiano. Gli effetti di questi due provvedimenti sarebbero terribili in qualsiasi situazione economica ma sono, a nostro avviso, devastanti nella nostra situazione. Provvedimenti che sono quasi esclusivamente di spesa, che non hanno come effetto alcun miglioramento dell’economia e alcun miglioramento del tasso di occupazione. Anzi, al contrario renderanno meno interessante per molti trovare un lavoro regolare e daranno sfogo al peggio della società italiana alimentando lavoro nero e furbizie di ogni tipo. Non ci vorrà molto perché i nodi vengano al pettine, ed è assai probabile che dopo le elezioni europee, al massimo in autunno alle soglie della prossima finanziaria, i mercati finanziari e l’economia globale ci presenteranno un conto salatissimo da pagare, che porterà giocoforza al collasso il sistema. Quando parlo di collasso del sistema non credo di esagerare e credo, al contrario, che nessuno meglio di noi abbia le carte giuste da giocare nella fase di gravissima crisi nella quale ci troveremo. Noi che da sempre abbiamo fatto del controllo del debito pubblico uno degli aspetti centrali della nostra iniziativa economica e che abbiamo denunciato in ogni modo la follia delle promesse elettorali in campo economico di Lega e 5Stelle – e in misura minore anche di Forza Italia e del Partito Democratico – abbiamo il dovere di costruire una alternativa di ragionevolezza. Quando sarà evidente a tutti che alla fine di questa corsa folle, di promessa in promessa, c’è la recessione e una nuova grave crisi economica di cui l’Italia è una delle principali cause, i Radicali dovranno far sentire la loro voce. Dovremo riuscire a farla sentire innanzitutto a quelli che maggiormente saranno colpiti dagli effetti di queste scelte scellerate, che saranno le classi più povere, i meno abbienti e chi ha titoli di studio più bassi. Per paradosso gli effetti del disastro saranno pagati soprattutto da una parte importante degli elettori che hanno sostenuto le forze di governo, a partire dagli elettori del sud del Movimento 5Stelle. Per questo mi piacerebbe riuscire, insieme a voi, a valorizzare ancora di più le proposte di Roberto Cicciomessere che sono le proposte di Radicali Italiani.

Sempre in tema di economia e di sviluppo ce n’è un altro che mi pare prioritario e che ritengo sia uno dei principali elementi di contraddizione di questo Governo: il o la TAV. In questo caso voglio ringraziare Simone Sapienza e Radicali Roma per aver portato fuori da Torino il tema e organizzato l’importante iniziativa di discussione e confronto con Paolo Foietta, ex commissario straordinario del Governo sulla TAV. E ne approfitto per ringraziare anche tutti i militanti e i dirigenti che in queste ultime settimane hanno occupato la sede di Via Bargoni con appuntamenti in cui per l’ennesima volta abbiamo dimostrato la nostra capacità di concepire l’iniziativa politica, la nostra originalità nell’analisi e nella proposta di governo, nel nostro non essere mai opposizione ma alternativa. La nostra sede è aperta e viva.

Tornando al TAV. Due giorni fa il ministro Salvini ha detto no alla consultazione popolare proposta da Sergio Chiamparino da realizzare in contemporanea con le elezioni europee. Questa risposta fa il paio con il no dei 5Stelle al referendum consultivo cittadino torinese che avevamo proposto noi con una iniziativa popolare. Così come con il boicottaggio del referendum ATAC da parte della giunta Raggi a Roma. Questi signori che amano loro stessi definirsi “populisti”, in realtà hanno una paura fottuta dell’opinione del popolo espressa democraticamente con gli strumenti messi a disposizione dai nostri ordinamenti.

Oggi chiedere di proseguire l’opera è facile, siamo maggioranza. Ma farlo 15 o 20 anni fa a Torino, in Piemonte o peggio in Valle di Susa significava rischiare l’incolumità fisica. La TAV è diventata un feticcio da abbattere mentre rappresenta semplicemente un segmento di un reticolo europeo che già adesso ha cambiato in meglio la nostra capacità di spostarci e di viaggiare. Chi oggi in nome dell’ambiente dice NO produce un cortocircuito ridicolo: trasferire su rotaia gran parte del traffico su gomma, delle merci e dei passeggeri, è uno dei principali strumenti individuati dall’Europa per ridurre le emissioni inquinanti, le polveri sottili e le emissioni di anidride carbonica. Il costo di realizzazione a chilometro è assolutamente uguale a quello che è stato pagato per la tratta Bologna-Firenze o per le gallerie realizzate nei 4 valichi che uniscono l’Italia con il nord dell’Europa. Per questo saremo in piazza a Torino il prossimo 6 aprile alla marcia pro-TAV, per dire Sì al Piemonte del Sì, Sì all’Italia del Sì, Sì all’Europa del Sì.

Abbiamo poi ripreso la battaglia – in realtà mai abbandonata – per la legalizzazione della cannabis, di cui Antonella che l’ha concepita e la sta portando avanti con Barbara vi dirà, lanciando la campagna WeeDo con un primo partecipato appuntamento dinanzi Montecitorio, e abbiamo già lanciato la prossima mobilitazione nazionale per i prossimi 13 e 14 aprile.

Ma non possiamo e non dobbiamo nasconderci le enormi difficoltà in cui ci troviamo e su cui anche Antonella avrà modo di relazionare.

Diversi sono i fronti di difficoltà che vedo e che ritengo urgente affrontare.

La prima, perché più stringente, è la questione del rapporto ormai arrivato nelle aule giudiziarie con il Partito radicale, nonviolento, transnazionale e transpartito.

Intanto la notizia positiva è che abbiamo potuto recuperare il nostro archivio dal magazzino di Torre Argentina e siamo finalmente in grado di avere un quadro completo – grazie anche, tra gli altri, a Dario Boilini – della situazione amministrativa dal 2001. Questo ci consentirà di preparare una memoria dettagliata per la causa nata dal decreto ingiuntivo per il debito di 63mila euro iscritto nei nostri bilanci su cui, come sapete, il giudice ha qualche settimana fa concesso la provvisoria esecutività. Il nostro avvocato, Francesco Mingiardi, che ringraziamo, sta seguendo questa delicatissima causa, e avremo bisogno della collaborazione di tutti quelli che sono in grado di ricostruire l’assoluta specificità dei rapporti interni tra i vari soggetti radicali, rapporti deflagrati con la morte di Marco Pannella. Oggi è ancora più evidente quanto fosse utile e prezioso il lavoro che Valerio Federico provò a portare a compimento, cercando di far comprendere la necessità di dotare la cosiddetta galassia di un bilancio consolidato.

Con Antonella crediamo necessario e urgente far partire una campagna straordinaria per il reperimento di questa somma – che al momento non siamo in grado di coprire – perché si tratta di una cifra tale da determinare, senza mezzi termini, la chiusura della nostra sede e delle nostre attività. Per qualcuno questo può essere un obiettivo, un fine, una soluzione. Io non lo credo affatto, e non solo per il ruolo che ricopro. Credo che mantenere in vita, non per mera sopravvivenza, il soggetto Radicali italiani sia garanzia di politica radicale, liberale, libertaria, liberista, ambientalista, nonviolenta, laica, disobbediente per tutti i radicali, un’assicurazione contro la mediocrità dell’agire politico. Ma questa assicurazione ha un costo, un costo non solo economico.

Per tenere in vita la fiammella radicale rappresentata dal nostro Movimento la forza militante e degli iscritti è, e lo sappiamo, vitale. Pensare che la fiammella possa rimanere accesa senza l’impegno diretto di ciascuno di noi è un’illusione.

Siamo però a un punto di svolta. E sta a noi, a partire dal nostro dibattito qui, tornare a essere protagonisti della nostra storia.

Pensando alla casa radicale, quella che io ho vissuto e praticato nei miei quasi trent’anni di militanza, mi viene in mente l’immagine del formicaio, quando si solleva la copertura e le formiche scappano impazzite in tutte le direzioni, mandando all’aria la loro efficiente organizzazione, fino a quando ricostruiscono un nuovo formicaio. Ecco, noi radicali, tutti, dopo la morte di Pannella siamo come quelle formiche impazzite a cui è stata tolta la confortevole guida e che non sanno più che direzione prendere. Dobbiamo ancora capire la nostra nuova strada e rimetterci in cammino per ricostruire il formicaio.

Ma per farlo dobbiamo lavorare, anche su noi stessi, anche a partire dalle nostre regole. Penso sia necessario riavviare una riflessione profonda e complessiva del nostro Statuto e arrivare al prossimo Congresso con una proposta di un nuovo modello di Statuto. Per questo abbiamo ripristinato la Commissione online sullo Statuto e l’invito è ad aprire e alimentare un dibattito, senza dogmi e tabù, anche sui punti più controversi e su cui in passato ci siamo già scontrati. Penso possa essere utile riprendere il filo di quei discorsi in un’ottica nuova e diversa, in particolare dopo l’esperienza di e con +Europa.

E proprio a partire da quell’esperienza, penso che per affrontare il presente e soprattutto il futuro dobbiamo cambiare anche e in primo luogo noi stessi e il modo di affrontare i cambiamenti politici e sociali che alcuni paradigmi utilizzati nel passato non ci aiutano più a comprendere e ad affrontare.

Le nostre difficoltà e le nostre divisioni interne – che sembra non siamo in grado di superare – hanno introvertito il nostro dibattito. Noi, purtroppo, abbiamo smesso di discutere, di discutere di riforme politiche, di riforme elettorali, di riforme sociali. Non possiamo pensare di fare politica sui social, scrivere dei bei post, che peraltro ci leggiamo tra noi. Dobbiamo tornare a elaborare proposte politiche che possano essere alternativa al peggio che incombe.

Da tempo e da più parti ci viene rimproverata l’assenza di un progetto politico radicale. Io ritengo invece che dal 2017, con fatica, ma anche con pazienza e pervicacia stiamo portando avanti un progetto politico. Abbiamo cominciato a concepirlo quando abbiamo deciso di affrontare senza esitazioni il terreno di scontro politico che ci veniva imposto: quello dei rapporti con l’Unione Europea e con gli altri Stati europei. +Europa per noi, da molto prima delle elezioni dello scorso anno non era una convergenza dettata da opportunismo elettorale, ma un progetto politico che richiedeva la convergenza politica tra forze politiche, come spesso è stato detto, di origine e cultura anche diversa e lontana, ma che trovavano il loro comun denominatore intorno a esso: una convergenza e un progetto che richiedeva certo anche il passaggio di una difficile prova elettorale.

Era un passaggio necessario e importante. Per più ragioni: la prima ragione era che nell’area di centro, e di centro-sinistra, dovevamo contrapporci alla politica del PD, per molti versi ambigua o che sotto certi aspetti aveva in qualche modo preceduto o era stata addirittura collimante con le posizioni degli attuali nostrani sovranisti nei rapporti con l’Europa (ricordiamo i “pugni sul tavolo” di Matteo Renzi e le richieste anche da parte sua di clausole di salvaguardia più benevole sui nostri conti pubblici).

Per noi radicali, “più Europa” non era e non è una difesa dell’Unione così come è attualmente. Al contrario, la nostra idea del progetto nasceva e si regge sulla convinzione che l’unico modo per difendere l’Europa è quello di andare avanti e non indietro nel processo di unità e di integrazione europea, di riprendere il cammino verso nuovi obiettivi, magari a diversa velocità, di unità federale nel campo della difesa e della fiscalità comune, di investimenti comunitari nel campo non solo delle infrastrutture materiali ma anche in quello delle infrastrutture immateriali, della ricerca scientifica, della nuove tecnologie, dell’intelligenza artificiale, della prossima rivoluzione industriale e tecnologica a cui dobbiamo prepararci. E solo l’Europa, nella sua unione e nel suo spazio geopolitico semicontinentale, può dare una risposta politica democratica alla necessità di un progetto di conversione ecologica del sistema produttivo, divenendo non solo a parole leader di una risposta efficace al problema globale del riscaldamento climatico. E per fare tutto questo occorre in Europa più e non meno democrazia liberale e più e non meno Stato di diritto. Ecco perché abbiamo concepito quel progetto elettorale e politico.

Non possiamo quindi accettare l’accusa che questo sia solo un progetto di marketing elettorale. Chiediamoci cosa sarebbe stato delle nostre possibilità, se ne avremmo avute più o meno, se non fossimo passati attraverso quella prova elettorale, se non avessimo ottenuto grazie a essa un presidio parlamentare alla Camera e al Senato e in due Regioni. Certo potevamo fare di più e lo avremmo fatto se non fossimo assediati dai tentativi ricorrenti del mio amico Maurizio Turco e della presidenza del partito radicale, dopo averci espulso dalla condizione di soggetti costituenti e sfrattato da quella che per 16 anni è stata anche la nostra sede storica, di asfissiarci e di bloccare i nostri conti correnti per impedirci di operare e agire. E dispiace dover prendere atto che a questi tentativi si affianchino oggi tentativi di delegittimazione provenienti da tutt’altra parte, interna, e altrettanto gravi.

Ma, pur cosciente della nostra debolezza, evidentemente però aggravata dalle nostre divisioni, penso che vorrà dire pure qualcosa se siamo riusciti nell’impresa della presentazione elettorale lo scorso anno e nella difficilissima costruzione di un nuovo soggetto politico, certamente ancora imperfetto. Grazie al nostro sforzo abbiamo dato sbocco elettorale a quasi un milione di persone e animato molti Gruppi di +Europa con persone che hanno poi abbracciato anche la militanza radicale. Abbiamo visto autorevoli intellettuali inseguirci e raggiungerci (e pretendere di sopravanzarci) nei mesi successivi sullo stesso terreno di confronto e di scontro che avevamo con largo anticipo indicato e scelto. E, infine, oggi anche il PD sente il bisogno di aggiungere al proprio simbolo orgogliosamente “Siamo europei”.

Quindi no, non possiamo dirci che si è trattato di mera operazione elettorale. È un progetto politico che avremmo potuto e potremmo e potremo riempire di contenuti e di iniziative.

+Europa è un progetto politico italiano e dovrà essere sempre più europeo, ma non è, per me, un progetto totalizzante. È il perimetro di un progetto e di una convergenza, che deve essere politica e non solo elettorale, intorno alle priorità delle scelte riguardanti l’Unione Europea e alle questioni e alle altre scelte politiche, economiche, istituzionali, che a essa sono connesse. Voltiamo per questo le spalle al nostro liberalismo, al nostro libertarismo, alla nostra nonviolenza, alla nostra politica dei diritti civili, al nostro antiproibizionismo? Non saremmo, nonostante la nostra povertà, le nostre difficoltà e anche le nostre inadeguatezze, qui oggi a Verona, a testimoniare una nostra idea diversa del diritto, della libertà e della famiglia rispetto quella perseguita e sostenuta dai conservatori più retrivi riuniti qui a Verona in questi stessi giorni.

Oggi la sfida per Radicali Italiani è fare Radicali italiani, magari individuando modi nuovi per fare Radicali italiani.

Chi ha nostalgia dei vecchi radicali, intendo dei radicali di quando c’era Marco Pannella, deve realizzare che Pannella non c’è più, che nessuno di noi è Pannella e che non possiamo aspettare un nuovo Pannella. Non si tratta di voltare pagina dimenticando il passato; l’eredità che abbiamo è preziosissima, è innanzitutto l’eredità di un’analisi politica e di un metodo politico. Ma l’eredità serve per costruire un futuro. Se qualcuno vive questa nostalgia immaginando di aspettare un nuovo Pannella o immaginando di essere il nuovo o la nuova Pannella io ritengo che sbagli. Quella storia che ha segnato indelebilmente noi stessi, il Paese e la politica può avere un futuro se sapremo costruire un modo diverso di stare insieme. Innanzitutto conquistando una capacità di costruire un nuovo clima di collaborazione tra noi, che non significa essere d’accordo su tutto ma essere capaci di contribuire a un confronto aperto, leale e rispettoso. Qualche settimana fa abbiamo organizzato a Milano una riunione tra alcuni dirigenti di Radicali Italiani e i dirigenti delle tre associazioni radicali con il maggior numero di iscritti (Radicali Roma, la Enzo Tortora e l’Adelaide Aglietta). Sono state ore di confronto e dialogo, anche con posizioni diverse e visioni diverse, ma in un contesto, in un clima di collaborazione, che spesso non ritrovo nelle nostre riunioni di Direzione o di Comitato.

Due altre questioni non possiamo eludere. Una è quella dei rapporti con il Partito Democratico, su cui non basterebbe una relazione ad hoc. L’elezione di Nicola Zingaretti rappresenta l’apertura di una pagina per il PD ancora tutta da scrivere; con il Partito democratico rimangono aperte più questioni, la prima e più importante è il pericolo che il PD pensi di poter affrontare la concorrenza con le forze venute fuori dalle ultime elezioni sulla base di proposte uguali e contrarie, che ci vedono evidentemente distanti.

La seconda questione, centrale per stringente attualità, riguarda il prossimo appuntamento elettorale, se e come Radicali italiani intende affrontarlo.

Il nostro Statuto ci impone scelte alternative a quella di presentare il nostro simbolo e, paradossalmente, sempre per il nostro Statuto siamo ancora legati in quanto soggetto costituente al Partito radicale che non vuole riconoscerci più questo privilegio e che, sembra, si presenterà alle prossime elezioni europee con il simbolo della Rosa nel Pugno – per gli Stati Uniti d’Europa.

Poi abbiamo +Europa, cui noi abbiamo dato vita, che abbiamo costruito e fatto crescere. Nell’immaginario collettivo è un progetto radicale. Abbiamo le Mozioni degli ultimi due Congressi e di tutti i Comitati dell’ultimo anno e mezzo che sostengono la necessità di proseguire nel processo costituente (che non penso si possa ritenere concluso). Abbiamo dei parlamentari radicali sotto quell’insegna, Emma Bonino e Riccardo Magi, abbiamo due consiglieri regionali. Abbiamo parte del nostro gruppo dirigente che è parte del gruppo dirigente di +Europa.

Io credo quindi che la scelta di proseguire quel percorso, pur con tutte le dovute criticità, e anzi utilizzando il pungolo radicale – che al momento è debolezza -, sia coerente con le scelte fatte finora. C’è chi pensa che la +Europa uscita dal Congresso, anche per come ne è uscita, non corrisponda a quello che avevamo tentato di realizzare e che per questo possiamo sentirci autorizzati a tirare i remi in barca. Io penso esattamente il contrario. Noi abbiamo voluto +Europa e abbiamo investito moltissimo di noi su questo, ebbene non possiamo lasciare che diventi ciò che temiamo diventi abbandonando il campo.

Dobbiamo quindi scegliere. Io credo che in perfetta continuità con quanto fatto e deliberato nel corso degli ultimi due anni, e visti anche i risultati che abbiamo ottenuto e che mi sembra troppo spesso vengano sottostimati, dobbiamo proseguire questo percorso e, semplicemente, non mollare!

Penso sia indispensabile per Radicali italiani continuare a giocare la partita con +Europa allo stesso tavolo e con le stesse carte degli altri giocatori. Significa proporre innanzitutto i nostri temi. Cancellare una presenza federalista, liberaldemocratica, radicale alle prossime elezioni sarebbe, ne sono convinta, sbagliato e controproducente, non solo per noi ma ai fini del tentativo di costruire una risposta politica credibile alle due componenti del governo gialloverde che come radicali cerchiamo di contrastare. E lo abbiamo scritto nella nostra Mozione congressuale, che guida il mio e nostro anno politico:

«le elezioni europee di maggio 2019 rappresentano uno snodo cruciale per innescare una reazione di segno contrario. Per questo il Congresso sottolinea la necessità di una nuova stagione di lotta e l’urgenza di reperire le risorse necessarie a una grande mobilitazione nel segno della nonviolenza e della disobbedienza civile, pilastri del metodo e dell’agire radicale.»

Mi auguro e vi auguro che questo Comitato si concentri sulle vere urgenze ed emergenze, nostre e del Paese, con un dibattito ricco e fecondo. Lo faremo anche con gli interventi di alcuni ospiti, con l’evento di questa sera, con la manifestazione di domani cui parteciperemo con le nostre bandiere.

Voglio infine ringraziare Giorgio Pasetto che ci ha consentito di tenere il nostro Comitato in questa bella cornice, dandoci l’occasione di rendere un po’ più speciale la nostra riunione. Buon lavoro!