Sondaggi: scienza o oroscopo?

La prima inchiesta sul rapporto tra sondaggi e media. 

A cura di Romano Scozzafava, Edoardo Cicchinelli e Mario Staderini. 

Avete presente il momento topico dei talk show in cui gli ospiti designati sono chiamati a commentare “i freddi numeri” scaturiti dai sondaggi? Oppure: avete presente quello della zuffa tra politici di parti opposte che si presentano con “dati alla mano” altrettanto opposti? Vi siete sempre chiesti come sia possibile che anche sondaggi affini riportino risultati divergenti? Semplice: perché i sondaggi d’opinione nell’antidemocrazia italiana si sono ridotti a strumento di propaganda. Radicali italiani vuole mettere in guardia i cittadini da questo utilizzo e ha condotto un’inchiesta servendosi dei dati reperibili sul sito sondaggipoliticoelettorali.it, a cura della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per l’informazione e l’editoria, in cui sono raccolti -come previsto per legge- tutti i sondaggi d’opinione che siano stati resi noti attraverso i media. Da febbraio a dicembre 2012 abbiamo esaminato profili, metodi e committenze di sondaggi e sondaggisti e abbiamo capito perchè negli studi di Scienze della comunicazione sia data tanta rilevanza ad uno dei possibili effetti del sondaggio: l’influenza sull’opinione pubblica.

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Il matrimonio all’italiana tra media e sondaggi

Nonostante negli ultimi anni sia cresciuto il ruolo della rete, in Italia ancora oggi la tv esercita un’influenza preponderante sulle scelte di voto dei cittadini. Gli ultimi studi del Censis infatti, ci parlano di una popolazione che per il 98,8% guarda la televisione, per l’84% ascolta la radio, per il 62% usa Internet e solo per il 45,5% legge i quotidiani, con differenze notevoli tra fasce di età, scolarizzazione e residenza.

Sappiamo che il 70% degli italiani fonda le proprie scelte elettorali principalmente sulla base di ciò che vede in tv: nei telegiornali per i meno scolarizzati, i pensionati e gli abitanti della provincia; nei talk show per i più istruiti e i residenti delle città popolose. Ma non possiamo dimenticare che nel contesto televisivo italiano l’informazione è fortemente condizionata da conflitti d’interesse, lottizzazioni e sistematiche violazioni delle regole.

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Prendiamo la Rai: dopo aver marginalizzato per più di 5 anni la tribuna politica lasciando spazio libero ai talk show, ha recentemente ripristinato le tribune elettorali con un’operazione ridicola: relegate in spazi di audience irrilevanti, disertate dai politici e televisivamente rese poco accattivanti. Ai vari talk show -governati completamente dall’arbitrio del conduttore sia per la “selezione” degli ospiti che per i temi trattati- è concessa la legittimazione di buone fasce d’ascolto ed è attraverso Ballarò, Porta a Porta e qualche raro giornale, che agli italiani è consentito formarsi un’opinione elettorale. Sono questi i principali committenti dei sondaggi d’opinione: trasmissioni che sommano all’anomalo potere di cui sono investiti, l’influenza generata dal massiccio ricorso ai sondaggi d’opinione.

Tra i committenti si sono da poco aggiunti anche i tg di La7 e Sky, che ne fanno un utilizzo ancora più spericolato, estrapolando i risultati da un contesto argomentativo e presentandoli come dati secchi che fanno da mattone cognitivo.

Mentre in democrazia l’approfondimento politico e l’indagine demoscopica dovrebbero informare il cittadino, nel nostro Paese sembra quasi che vogliano “formare” l’opinione pubblica. Per questo pensiamo che sia importante capire che grado di scientificità e affidabilità hanno i sondaggi made in Italy.

Sondaggio e limiti: scienza o oroscopo?

L’utilizzo dei sondaggi per determinare effetti politici è talmente riconosciuto che nelle ultime due settimane prima del voto è vietato diffonderne i risultati. È vero che i parametri di realizzazione di un’indagine demoscopica devono essere resi noti per legge, ma è un fatto che spesso le note informative sono difficilmente comprensibili o mal riportate. Dunque qual è l’affidabilità di un sondaggio? Ci siamo affidati all’analisi del professor Romano Scozzafava, ordinario di calcolo delle probabilità all’Università di Roma “La Sapienza” nella quale il professore dimostra la scarsissima affidabilità di questo tipo di indagini. Eccone in sintesi le osservazioni più interessanti:

  • In tutte le indagini, il campione di riferimento è irrisorio: si tratta di 800-1000 persone su una popolazione di poco meno di 50 milioni di votanti. L’opinione di uno solo è rappresentativa per oltre 50.000 elettori!
  • Il metodo più largamente diffuso tra le società che fanno ricerche demoscopiche è il cosiddetto “C.A.T.I.”, ovvero interviste condotte tra gli abbonati alla telefonia fissa al netto dei numeri riservati. Ma solo il 56% delle famiglie italiane possiede un telefono fisso e la campionatura si basa solo sul nominativo del titolare del contratto telefonico; inoltre ogni metodo di intervista (telefono fisso, mobile, internet o face to face) corrisponde ad un diverso target, dunque un metodo di rilevamento più corretto dovrebbe tener conto di panieri multipli.
  • Il tasso di rifiuto nella partecipazione al sondaggio è elevatissimo (circa l’80%) abbastanza da mettere a rischio la rappresentatività del campione.
  • L’adozione di un’indagine che proponga risposte chiuse o aperte incide moltissimo sui risultati finali del sondaggio, eppure ogni volta manca l’ndicazione del tipo di scelta. Inoltre mai viene esposto l’ammontare del margine d’errore, determinante per la credibilità di una ricerca.
  • Il margine di errore è di proporzioni enormi: ammonta a + o – il 3%! Le conseguenze sono 2: innanzitutto perdono immediatamente senso le indicazioni pari o inferiori al margine d’errore perché se si afferma che un partito è al 5%, con un margine di errore di + o – 3 significa che quel partito potrebbe riscuotere nella realtà dal 2 all’8%dei consensi elettorali (non c’è bisogno di indagini per dire che nel campo del possibile esistono le alternative “essere” e “non essere” rappresentati in Parlamento). Diventano poi risibili le argomentazioni basate su variazioni di decimi percentuali (in più o in meno) tra i diversi partiti sotto al 4%, perché corrispondono alle risposte di 1-3 intervistati.

Con un margine d’errore così alto tanto vale affidarsi all’oroscopo del giorno… Allora perchè i sondaggi d’opinione vengono ancora richiesti, diffusi ed utilizzati in modo così massiccio? Saranno forse ingranaggio per manipolare l’opinione pubblica piuttosto che informarla?

Le committenze e l’intreccio dei conflitti d’interesse

Tra i dati della nostra inchiesta, spicca un dato particolarmente interessante: l’analisi delle committenze. In italia il mondo dell’informazione televisiva, così come quello dell’editoria, è storicamente riconducibile ad aree politicamente connotate: così come non esiste un editore puro o un’organo d’informazione riconosciuto terzo dalle contaminazioni politiche, anche tra gli istituti di ricerca demoscopica si rischi di riprodurre la medesima morfologia. Dai dati della nostra inchiesta emerge che esiste un legame tra determinati sondaggisti e determinate fonti di informazione, politicamente “friendly” per questo o quello schieramento. Infatti, anche se nominalmente accade solo raramente che i sondaggi commissionati direttamente dai partiti siano diffusi, in Italia le logiche di mercato sembrano costantemente inquinate dalle logiche di palazzo. Un esempio lampante sono gli esiti attribuiti al “ritorno in campo” di Berlusconi: mentre i sondaggi di riferimento per il centro destra parlano già di notevole rimonta, quelli commissionati dai settori vicini alla sinistra tendono a sottovalutarne la ripresa. D’altronde se un istituto demoscopico deriva i propri guadagni principlamente da un unico committente, perchè scontentarlo?

Considerazioni e proposte

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Fermo restando che la serietà professionale può esistere a prescindere da qualsiasi committenza, è facile notare che tra i dati relativi alle intenzioni di voto in vista delle elezioni politiche raccolti dai diversi sondaggisti in Italia, si trovano i risultati più disparati: il PDL può ascillare dal 29% al 20%, il PD dal 26% al 30%… Eppure, se si confrontano i dati di sondaggipoliticoelettorali.it con quelli di un sito analogo (ad esempio) in Regno Unito, si nota che nell’arco di una settimana l’oscillazione dei voti tra sondaggio e sondaggio non varia mai per più del 2%. È dunque solo una peculiarità dei nostri sondaggi, il rilevamento di dati tanto precari?

Sarebbe già un passo in avanti garantire un migliore sistema di controllo terzo che possa vigilare sul rigore della raccolta dati, sulla veridicità delle conclusioni, sull’uso non strumentale del mezzo. La diffusione dei risultati dei sondaggi d’opinione può essere strumentale ai fini dell’influenza elettorale perchè si fonda sugli stessi principi fondamentali della persuasione su cui si fonda le pubblicità, ovvero:

  • Riprova sociale: Le persone, in media, tendono a ritenere maggiormente validi comportamenti o scelte effettuate da un elevato numero di persone. Fenomeno psicologico-sociale alla base della diffusione delle “mode”.
  • Autorità: Le tesi sostenute da un riferimento ad una figura di rilievo (quindi il, o presentate come se fossero derivate da tale figura/istituzione, accrescono la loro valenza persuasoria.
  • Simpatia: Attraverso la costruzione di un legame di simpatia e “similitudine”, reale o presunto, tra persuasore e persuaso, è più facile ottenere esiti di modifica degli atteggiamenti.

Cosa fare? La tutela della democrazia, passa anche da un uso corretto della propaganda elettorale e dei suoi strumenti, tra i quali rientra anche il sondaggio d’opinione. Sempre che sia possibile ritenere questo tipo di ricerca demoscopica di una qualche utilità è chiaro che occorrerebbe sciogliere il nodo enorme (o meglio quel groviglio) di conflitti d’interesse che legano l’informazione (di qualsiasi fonte) ai partiti e stabilire dei criteri più affidabili e universali sui sondaggi, sui campioni di riferimento fondati su panieri più variegati, sui metodi di rilevamento che possano tener conto delle “diete mediatiche” dei cittadini.